Questione ambientale e guerra nei Balcani - Capitolo 1
Federica Alessandrini |
Parte I
Premessa teorica CAPITOLO 1Breve inquadramento storico, politico e socio-economico del conflitto in Kosovo. Un sintetico excursus dall'ante-guerram ai tentativi di ricostruzione.1.1 Repubblica Federale di Yugoslavia (RFY), quale contesto per il conflitto in Kosovo? Una sintetica panoramica storico/geografica della RFY [18] presenta il quadro seguente: |
Capitale | : | Belgrado (Beograd; 1.168.000 abitanti) |
Superficie | : | 102.173 kmq |
Popolazione e densita' | : | 10.570.000 abitanti (1996); 104 ab./kmq |
Tasso di crescita della popolazione | : | 0.1 % |
Tasso di alfabetizzazione | : | 93 % |
Nazionalita' presenti | : | serbi 63 %; albanesi 17 %; ungheresi 3 %; montenegrini 6 %; musulmani (Sanggiacato) 3% [19] |
Religioni diffuse | : | Ortodossi 65 %, cattolici 4%; protestanti 1%; musulmani 19% |
Lingua ufficiale | : | Serbo |
Altre lingue diffuse | : | albanese (in Kosovo); ungherese (in Vojvodina) |
Divisione amministrativa | : | Repubbliche di Serbia e Montenegro; Vojvodina e Kosovo (regioni interne alla Serbia). |
Cenni storici: [20] La Repubblica Federale di Yugoslavia (RFY) e' nata il 27 aprile 1992 come risposta alla disgregazione della Yugoslavia e con lo scopo di rivendicare continuita' e controllo sia sul nome che sulle proprieta' dello Stato.
Nel corso degli anni settata la Yugoslavia miglioro' via via la propria situazione economica fino a divenire uno dei piu' avanzati fra i paesi comunisti europei, con la morte di Tito (1980) pero' questa "prospera" fase si interruppe per lasciare spazio ad un periodo di crisi che ben presto dilago' su tutti i fronti. La brusca inversione di tendenza che causo' la rapida crisi economica, divenne ben presto funzionale alla strumentalizzazione che la fece sfociare anche in crisi politica a livello nazionale. In questo frangente emersero due figure politiche di notevole rilievo: Slobodan Milosevic, Segretario della Lega dei comunisti dal 1987, e Milan Kucan, Segretario dell'omonima Lega, nel medesimo periodo, in Slovenia. Proprio il forte scontro tra i due porto' alla dissoluzione della Lega dei comunisti di Yugoslavia (1990), squarciata da spinte interne opposte : centralismo estremo da una parte e decentramento esasperato dall'altra. In un tale clima di disordine politico crebbero sempre piu' il nazionalismo serbo, sloveno e croato, al punto da giungere prima alla secessione di Slovenia e Croazia (giugno 1991) e poi alla fine della Federazione stessa . Sorse cosi' la neonata Repubblica Federale di Yugoslavia.
Cenni di politica interna ed internazionale: Nel 1998 il governo della Serbia ha deciso di integrare i leader del Partito Radicale serbo e del Partito per il rinnovamento serbo. In questo modo e' contemporaneamente stato possibile sia limitare il potenziale eversivo di Seselj e Draskovic sia coinvolgere tutte le forze politiche serbe nella lotta antialbanese (sotto il controllo di Milosevic). Risulta evidente quale sia stata l'abilita' strategica di Milosevic nell' approfittare della situazione di emergenza impellente, provocata dagli attacchi Nato, per imbrigliare i suoi principali avversari politici in un governo in stato di guerra ed impedire loro di porsi come valida alternativa a lui. [25]
In seguito ai bombardamenti Nato l'instabilita' dell'aerea balcanica e' poi andata in peggiorando, dal momento che in risposta agli attacchi aerei le forze di sicurezza serbe hanno espulso dal Kosovo circa 800.000 albanesi, distruggendo sistematicamente anche i villaggi. Cio' ha chiaramente provocato un incontrollato riversarsi di migliaia di profughi in Albania e Macedonia, mettendo a dura prova i loro fragili equilibri. Romania e Bulgaria hanno poi sofferto forti disagi ed indebolimenti dell'economia locale a causa della distruzione di alcuni ponti sul Danubio. A fine guerra la messa sotto accusa del Presidente federale, da parte del Tribunale Internazionale dell'Aja, ha reso ancora piu' problematico il quadro diplomatico, dal momento che Milosevic non poteva piu' essere considerato come un valido interlocutore diplomatico. Nonostante il fatto che il Kosovo sia stato dichiarato protettorato Onu, la comunita' internazionale non e' stata in grado di proteggere adeguatamente le minoranze serbe e rom dalla vendetta albanese, causando quindi un problematico esodo di massa di tali popolazioni dai territori in questione. Spostando infine l'attenzione sulla RFY e' opportuno sottolineare come l'embargo abbia prodotto un isolamento della federazione dal resto della comunita' internazionale, congelando percio' la totalita' delle sue attivita' economico- commerciali. Cenni socio - economici: Ricollegandosi a quanto detto sopra riguardo all'arretratezza di tutta la regione balcanica nel post guerra, e' opportuno considerare qualche dato puramente quantitativo per cercare di inquadrare "tecnicamente" la situazione. Nel settembre 1999:
Focalizzandosi piu' precisamente sui riflessi sociali dei problemi economici si riscontrano:
1.2 Questione Kosovo: dai prodromi della guerra ai tentativi di ricostruzione economica. Costituito come provincia autonoma all'interno della Repubblica di Serbia, con la riforma costituzionale del 1974, il Kosovo ha visto la sua autonomia cancellata dalla riforma costituzionale varata dallo Stato Federale nel 1990. [31] Gia' dopo la morte di Tito nella regione si erano succeduti diversi disordini quando, dopo il 1987, Milosevic legava il suo destino politico alla situazione dei serbi locali, discriminati dagli albanesi. Successivamente gli albanesi stessi subivano atti di discriminazione per mano dei serbi come allontanamento dai propri posti di lavoro pubblici, separazioni nelle scuole, etc · Alla perdita dell'autonomia amministrativa essi rispondevano con un referendum segreto, una dichiarazione d'indipendenza e l'elezione di Ibrahim Rugova [32] a Presidente del Kosovo. Non bisogna pero' tralasciare il fatto che agli antipodi della parte moderata esisteva (ed ancora esiste) l'Uck (Fronte di Liberazione albanese) frangia estremista che grazie ad un ricco arsenale - in parte fornito dall' Albania - combatteva e combatte per l'indipendenza della provincia, cercando di marginalizzare la Lega democratica. 1.2.1 Gestione delle relazioni internazionali ed intervento Nato.
Quando le capitali alleate hanno deciso di intervenire con la forza nella regione serba del Kosovo, nel marzo 1999, si sono trovate ad operare in una situazione di crisi istituzionale e sociale incancrenita da un ventennio circa.
Esistono varie teorie sull'inaccettabilita' "costruita" di tale accordo, principalmente si ipotizza:
"· l'alleanza scivolava nell'uso della forza piu' probabilmente per incapacita' di costruire una strategia sostenibile e fornita di mezzi opportuni - ed a sostegno di una credibilita' impegnata nel tentativo di tagliare i tempi e i costi di una politica di intervento nella crisi - che non per calcolo strumentale." [44] Comunque sia il resto e' storia: il 18 marzo il trattato si chiudeva con un fallimento, il 20 si evacuava la Kosovo observation mission ed il 24 iniziava la prima fase di attacchi aerei sulla RFY. Rapidamente dissolta la speranza di concludere la guerra in pochi giorni di intensi bombardamenti i paesi alleati si sono trovati nella scomoda situazione di dover conciliare obiettivi politici fra loro contrastanti come il rispetto della sovranita' formale della Serbia, la protezione della multietnicita', la collaborazione con i quadri dell' Uck - contenendo la loro pressione - e non per ultime la difficile ricostruzione e la progressiva riduzione dell' impegno internazionale nell'area. [45] 1.2.2 Guerra umanitaria: "Bestialitπt und Humanitπt". [46]
Durante i giorni dei bombardamenti M. J. Glennon ha scritto un interessante articolo su Foreign Affairs dove sosteneva la necessita' di superare le vecchie regole contrarie all'intervento con la forza " a scopo di giustizia", in situazioni di conflitto civile interno, andando percio' oltre l'Art. 2 (7) [47] della Carta delle Nazioni Unite. [48] Se da una parte pero' l'autore californiano giustificava l'intervento Nato alla luce della sua alta moralita' ideale, dall'altro sottolineava l'urgenza di un nuovo ordinamento internazionale capace di fissare regole generali in proposito, impedendo cosi' all' interventismo umanitario di diventare "un' improvvisazione case by case ", [49] capace di procedere a briglia sciolta violando il vigente diritto internazionale.
Se la morte, la mutilazione o il ferimento di centinaia di persone o la distruzione dei loro beni [56] sono catalogati semplicemente come "effetti collaterali " di una guerra "idealmente giusta", a quale principio forte si potra' fare riferimento per distinguere nettamente la guerra moderna - a scopo umanitario - dal tanto temuto terrorismo internazionale? Al di la' della questione della "umanita' " o meno dell'intervento Nato in Kosovo, esiste una corrente di pensiero che mette in dubbio addirittura la legittimita' [57] dell'ingerenza militare subita dalla Federazione Yugoslava, a livello di diritto internazionale. La Carta delle Nazioni Unite prevede infatti un'ipotesi di uso legittimo della forza solo nella circostanza in cui esista una minaccia accertata contro la pace o un atto di aggressione tali da necessitare l'uso della forza per ristabilire la sicurezza internazionale. L'unica eccezione a tale regola generale si trova all'art. 51 della Carta e prevede il diritto di "legittima difesa" (self defence), diritto per cui uno stato che venga aggredito da un altro stato, o da un gruppo di stati, puo' legittimamente reagire con l'uso della forza militare finche' il Consiglio di Sicurezza non prenda le misure atte a ripristinare la pace e l'ordine internazionale. Il caso specifico dell'intervento Nato in RFY non rientra in alcuna delle due ipotesi sopra citate, inoltre non si e' verificata l'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza ad usare la forza sotto il suo controllo. In questi termini dunque, l'attacco militare contro la RFY puo' corrispondere al nome di aggressione [58] nei confronti di uno Stato sovrano e membro delle Nazioni Unite. [59] Perche' e' intervenuta la Nato invece della Nazioni Unite? Secondo alcuni autorevoli studiosi dei Balcani, fra i quali il Prof. Stefano Bianchini, probabilmente perche' in questo modo si prevedeva di agire in modo piu' rapido, evitando qualsiasi complicazione e lentezza procedurale allo scopo di arrivare ad una quanto piu' veloce risoluzione della problematica questione Kosovo. Una scelta dettata quindi forse piu' da motivi di praticita' politica piuttosto che dalla dichiarata superiorita' dei valori difesi. Resta il fatto che l'esperienza della "guerra umanitaria" in Kosovo: "· ha contribuito ad accelerare il processo di svuotamento dell'autorita' e delle funzioni delle Nazioni Unite·confinandole ad umilianti compiti di ratifica notarile di protocolli siglati altrove·" [60] e "·spingendole in un vicolo cieco del quale pochi sembrano finora essere consapevoli " [61] Un altro punto da focalizzare riguarda l' incapacita' dei paesi occidentali di essere in grado di imporre una nuova regola, a guerra finita (al contrario di quanto accaduto a Rambuillet). I principali motivi di cio' potrebbero essere stati:
Secondo un certo filone di pensiero il ricorso alle bombe in Kosovo ha rappresentato piu' l'intento di risolvere rapidamente una questione che creava fastidiose pressioni politiche che un segno di volonta' di intervento decisivo del problema (con una vera strategia di gestione crisi, un avanzamento di nuove regole internazionali, etc.). "·Il Kosovo ha, probabilmente, girato una pagina dei rapporti e delle regole internazionali del dopo guerra fredda. La nuova pagina, almeno per ora, risulta priva di qualsiasi scrittura." [62] 1.2.3 "Aiuti" internazionali per la ricostruzione economica in Kosovo. La prima conferenza internazionale dei donatori, [63] valutando i danni subiti dal Kosovo durante la guerra in relazione alla quantita' di interventi necessari alla ricostruzione secondo i dati forniti dall'International Management Group, ha visto la notifica degli importi degli aiuti stimati dai donatori stessi: in totale le promesse di dono equivalevano a 2.08 miliardi di dollari. [64] La seconda conferenza [65] ha invece raccolto 1.05 miliardi di dollari, funzionali alla ricostruzione fino alla fine del 2000, cosi' ripartiti:
Un'interessante proposta per tentare di iniziare a risanare l'economia kosovara e' stata formulata dal governo italiano attraverso l'individuazione del modello Grameen Bank. [68] Il principio base della cosiddetta "banca del villaggio" consisterebbe nell'accordare fiducia - concretizzata in termini di prestiti monetari - a chi non ha alcuna garanzia da offrire, allo scopo di permettere a tali soggetti l'avviamento di una qualsivoglia attivita' imprenditoriale o artigiana. Qual e', sinteticamente, il quadro teorico che definisce il microcredito? "·In letteratura, per indicare il complesso di organizzazioni di appoggio finanziario, legali e formalizzate, che·erogano servizi in favore di settori di popolazione trascurati dalla finanza formale, si fa riferimento ai cosiddetti "sistemi di microfinanziamento", anche se spesso si utilizzano termini quali "microcredito", "sistemi finanziari decentralizzati"·. "istituzioni di microfinanziamento", "credito alle microimprese"·.in altre parole, spesso si accomunano patiche creditizie in favore di specifici target groups·" [69] Al di la' delle svariate modalita' applicative di tali meccanismi creditizi, questi sistemi si caratterizzano per il comune obiettivo di recupero debiti ed incremento crediti. [70] Secondo il Prof. A. Segre': "·in una realta' come quella kosovara dove le attivita' del settore informale occupano una quota di lavoratori non agricoli abbastanza elevata (30 - 40 % dell'occupazione totale), la predisposizione di servizi finanziari e sociali che consentano da una parte la ricapitalizzazione dell'agricoltura e dall'altra la valorizzazione della creativita' e delle risorse umane disponibili nel settore informale, risulterebbe strategica nel tentativo di riaprire le prospettive di sviluppo in Kosovo." [71] 1.3 Speculazioni teoriche sulla natura della guerra. Perche' gli Stati Uniti ed i loro alleati europei hanno deciso di fare guerra alla RFY? E quale significato si puo' ragionevolmente attribuire alla motivazione umanitaria? Qual e' stata la concreta posta in gioco della guerra e quale la sua reale natura? [72] 1.3.1 "Wer Menschheit sagt, will betrŸgen."
E' quanto ha scritto settant'anni fa Carl Schmitt, riprendendo una massima di Proudhon : "chi dice umanita' cerca di ingannarti". [73] Il riferimento corre veloce al tentativo di aggettivare la parola guerra come "umanitaria", nel chiaro intento di degradare moralmente l'avversario e parallelamente scuotere l'opinione pubblica mondiale fino a mobilitarla emotivamente al punto da poterla convincere del valore morale di un intervento bellico in una certa parte del mondo.
Per quanto concerne l'ipotesi di "competizione" tra Stati Uniti ed Europa unita nella gestione della crisi balcanica il riferimento va alle teorie di Alain de Benoist e Charles Champetier, [78] secondo cui gli stati Uniti sono intervenuti al fine di creare un protettorato permanente in una zona geostrategica centrale dell'area balcanica al fine di poter operare come "gendarmi dei Balcani" da un lato, e con lo scopo di dividere l'Europa dall'altro, contrastando l'emergere di una potenza continentale in Eurasia. Alcuni autori di riferimento per l'ipotesi del cosiddetto federalismo egemonico sono Zbigniew Brzezinski, Richard Haas e Samuel Huntington. Secondo il primo i Balcani sono un "arco di crisi " [79] non meno importante del Medio Oriente, in quanto in quei territori si scontrano le "linee di faglia " [80] fra cristianita' occidentale, mondo slavo- ortodosso ed Islam. Il potenziale esplosivo sarebbe inoltre accresciuto dal vuoto geopolitico lasciato dalla dissoluzione del sistema sovietico nella vasta area caucasica e transcaucasica - dove si gioca, fra l'altro, la cruciale questione delle risorse energetiche -. In una tale cornice gli Stati Uniti potrebbero presumibilmente temere il formarsi di un loro "nemico" in quelle lontane zone, da qui la volonta' di fare dell'Europa la "testa di ponte americana sul continente euro asiatico ". [81] Proseguendo su binari di ragionamento omologhi, Haas propone invece un modello di global sheriff, gestita dagli Stati Uniti, attraverso una rete di connessioni planetarie e con particolare attenzione alle relazioni che li legano a Nato ed Unione Europea. In parziale disaccordo con Haas, Huntington denuncia piuttosto gli Stati Uniti, nelle vesti di lonely superpower che imponendo spesso la sua global hegemony rischia di provocare gravi tensioni a livello mondiale. Sperimentata infatti l'esistenza e l'influenza di potenze subregionali che svolgono ruoli di grande importanza in Europa, nell'area euro- asiatica, nell'area del Pacifico, in America Latina, Asia Meridionale ed Africa, Huntington raccomanda piu' una sorta di "pratica egemonica multilaterale ", [82] finalizzata alla riduzione dei timori di piccole e medie potenze nei confronti dello "sceriffo globale". Tutti e tre gli autori possono quindi essere accomunati dall' ipotesi di un "federalismo egemonico" - puntato verso il presidio egemonico del continente euro- asiatico - che gli Stati Uniti starebbero sperimentando all'interno della "nuova Nato ". [83] Infine, altro tema di particolare rilevanza e' senz'altro quello dei "corridoi" che da Oriente ad Occidente collegano il Mar Caspio ed il Caucaso al Mediterraneo, ai Balcani ed all'Europa meridionale. Tali "corridoi" sono considerati di vitale importanza da Europa, Stati Uniti, Russia ed Iran, come canali utili a far affluire le immense riserve petrolifere della regione [84] verso i paesi industrializzati. Molti studiosi credono che i "corridoi" saranno il fattore decisivo per disegnare la futura geoeconomia dell'intero continente euro - asiatico. Secondo l'ipotesi al punto 2. il problema sarebbe riconducibile principalmente alla volonta' degli Stati Uniti di far passare i propri oleodotti in territori sicuri, [85] dipendenti o perlomeno controllabili da essi - escludendo percio' Iran e Russia - . In questo quadro un grande rilievo e' assegnato al ruolo del "corridoio 8 " [86], finanziato dal Fondo Monetario Internazionale, dall'Unione Europea e dalla Francia, per la realizzazione di un asse est-ovest che parta dalla costa bulgara del Mar Nero, attraverso Macedonia ed Albania meridionale, per poi raggiungere l'Adriatico nei porti di Durazzo e Valona. Da qui risulta chiaro come l'area turco- balcanica non sia seconda al Medio Oriente a livello di connessioni cruciali con la strategia internazionale dell'accaparramento delle fonti energetiche. [87] "·E questa strategia ha sempre visto le maggiori potenze industriali, in primis gli Stati Uniti, inclini all'uso della forza per garantire la sicurezza dei trasporti, per scongiurare i rischi di una limitazione dei flussi o per evitare un eccessivo aumento dei costi·.non si puo' dunque escludere che la componente economica - in particolare la competizione per il controllo dei "corridoi" - abbia avuto rilievo nell'indurre alla "guerra umanitaria" ." [88] 1.3.2 Kosovo: nuova guerra o "guerra spettacolo"?
Una cosa e' certa, la guerra in Kosovo si e' senza dubbio distaccata dal paradigma classico della guerra "moderna" tra Stati nazionali sovrani, cosi' come intesa da Karl von Clausewitz.
L'altro versante di cui si e' parlato e' quello della "guerra spettacolo". Quale spettacolo? Quello televisivo, [95] per esempio. Una guerra partita sotto l'egida di bombardamenti aerei rapidi, asettici, "umanitari", non poteva convivere pacificamente con un eccessivo protrarsi del conflitto, senza peraltro, poter vantare successi evidenti. Fomentare l'opinione pubblica sull'urgenza di intervenire contro "stati criminali", sfamandola continuamente con immagini di profughi sofferenti e di bombe intelligenti era forse l'unica opzione sul tavolo: dimostrare la necessita' di una guerra "a costo zero". Resta pero' il fatto che non sembra siano stati arrecati ingenti danni alla macchina militare yugoslava, chi invece ha subito maggiormente le conseguenze dei bombardamenti sono stati gli obiettivi civili: strade, ponti, centrali elettriche, depositi di carburante, fabbriche, etc... Si potrebbe sempre obiettare che, alla fine, la Nato ha comunque vinto, Milosevic si e' infatti arreso ed i profughi albanesi sono potuti rientrare in Kosovo. A quale prezzo? In corrispondenza del rientro dei profughi "salvati dalla guerra" si e' consumata la fuga di quelli "creati dalla guerra" ed indifesi di fronte ad un odio nazionalistico (stavolta tutto albanese) tutt' altro che assopito. [96] Puo' forse tutto cio' conciliarsi con il nome di intervento umanitario? Se per intervento umanitario si intende il tentativo - basato sul consenso, fondato nel rispetto del diritto e volto al sostegno della democrazia - di prevenire gravi violazioni dei diritti umani, creando le condizioni per favorire un assetto politico (piu' o meno stabile) ed un ambiente sicuro in cui le persone possano muoversi liberamente e senza paura ·fino a che punto sarebbe corretto parlare di intervento umanitario per quanto ha avuto luogo in Kosovo nel 1999? |
Note:
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