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Il nucleare Usa lascia Ramstein Destinazione, l'Europa del sud

Gli americani cancellano la base tedesca dalla lista dei siti sottoposti a controlli. Le armi nucleari non sono più in Renania-Palatinato
13 luglio 2007
Matteo Alviti
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Le forze aeree statunitensi hanno cancellato la base tedesca di Ramstein dalla lista dei siti sottoposti a controlli periodici da parte degli ispettori dell'arsenale nucleare. In altre parole le armi un tempo dislocate nella base - la più grande al di fuori degli Stati uniti e quartier generale della United State Air Force in Europe (Usafe) - non si troverebbero più in Renania-Palatinato, nel sud della Germania.
La lista in questione, contenuta in un documento non riservato pubblicato lo scorso gennaio dall'Usafe, è al centro di un articolo di Hans Kristensen apparso sul blog per la sicurezza strategica della Federazione degli scienziati americani. Fino al 2005 la Germania è stata tra i paesi europei quello con più basi (tre) coinvolte nella gestione delle armi nucleari di Washington. Oggi i siti militari di Ramstein e Spangdahlem, collegato operativamente al primo, sono usciti dalla lista lasciando il primo posto della classifica all'Italia, con Aviano, in Friuli-Venezia Giulia, e Ghedi Torre, in Lombardia. In Germania rimarrebbero dunque 20 bombe nucleari nella base di Büchel, in Renania-Palatinato. Poche rispetto alle 2570 del 1980. Ma quelli erano altri tempi.
Si tratta di una riduzione significativa della presenza di armi nucleari statunitense sul territorio europeo: circa 100 testate in meno rispetto ai dati forniti dal rapporto del Natural Resources Defense Council nel febbraio del 2005. Le stime attuali, non confermate né smentite dai governi europei e statunitense, parlano di 350 testate B61 - per i caccia bombardieri -, una capacità d'offesa simile, o poco superiore, a quella della sola Francia. Secondo le informazioni riferite dal generale Franco Apicella, l'arsenale nucleare di Parigi comprende infatti tra le 250 e le 300 testate «distribuite tra quattro sottomarini a propulsione nucleare e una sessantina di velivoli dell'aeronautica imbarcati sulla portaerei Charles-de-Gaulle».
Si tratta del punto più basso nella storia della presenza di armi nucleari sul suolo europeo dal 1957. L'apice fu toccato nel 1971, in piena guerra fredda, con 7300 testate nucleari, scese a 480 bombe nel 1994, numero rimasto poi praticamente invariato fino al 2005. Nonostante si sia ridotto drasticamente dagli anni '70, il numero di armi nucleari statunitensi in Europa rimane però assolutamente sproporzionato al contesto geopolitico attuale: «è maggiore dell'arsenale nucleare cinese e di quello di Israele, India e Pakistan messe insieme», scrive Kristensen.
Sarebbe dunque un errore leggere la cancellazione di Ramstein dalla lista «nera» come un ritiro strategico degli Stati uniti: la presenza di bombe nucleari in Europa gioca ancora un ruolo decisivo per la Nato non fosse che per il legame che contribuisce a consolidare tra gli Stati uniti e i governi europei, pur nell'assenza di un nemico dichiarato. Legare infatti la presenza delle armi atomiche alla minaccia del terrorismo sarebbe poco plausibile anche per George W. Bush: parafrasando Pintor, sarebbe come pensare di poter sparare a una mosca con un cannone.
Più logico pensare dunque alla riorganizzazione strategica dell'arsenale nucleare statunitense secondo le nuove minacce mediterranee. Non a caso l'Italia rimane un giocatore fondamentale con il progetto Dal Molin, insieme alla Turchia. Oggi il 51% dell'arsenale è concentrato nel sud-est europeo. A «proteggere» il nord Europa dovrebbe rimanere, secondo i controversi piani del presidente statunitense, lo scudo missilistico che potrebbe essere costruito tra Polonia e Repubblica Ceca.
Probabilmente le armi nucleari non sono più a Ramstein già dal 2005, anno in cui iniziarono i lavori per l'allargamento della base Usafe. L'amministrazione Bush, secondo fonti militari tedesche citate allora dal settimanale der Spiegel, aveva deciso di far rientrare le testate in patria per il tempo della ristrutturazione del sito militare. Il governo rosso-verde di Gerhard Schröder e Joschka Fischer sembrava a quel tempo intenzionato a far capire agli alleati statunitensi, con i quali era ai ferri corti dall'invasione dell'Iraq nel 2003, di non gradire un tale dispiegamento sul proprio territorio. Ma il proposito rientrò per le dimissioni annunciate dal cancelliere socialdemocratico nel maggio del 2005.

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