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Torna la minaccia nucleare

Che il pericolo nucleare costituito dall’Iran sia una montatura, come ieri lo furono le armi di distruzione di massa dell’Iraq, è stato ampiamente chiarito (il che non toglie che eventuali, recondite, ambizioni di Teheran a dotarsi in futuro di armi nucleari andrebbero comunque interdette). Meno chiaro è che dietro questo pretesto è in corso un’allarmante ripresa della proliferazione nucleare a livello mondiale, che viene invece dissennatamente favorita da Washington, per puri, e miopi, calcoli di potere: vi sono infatti rischi nucleari ben più concreti di quelli presunti dell’Iran, o della Corea del Nord. Del resto, nel passato sono stati diffusissimi i progetti, ovviamente segreti, di sviluppare armi nucleari: dal Sudafrica (ma Mandela li smantellò) a Brasile e Argentina, dalla Svizzera alla Svezia, nonché all’Italia.
18 aprile 2006
Angelo Baracca (Professore di Fisica presso l'Università di Firenze. Ha pubblicato diversi libri e svolto ricerche in varie aree della Fisica e in Storia e critica della Scienza. Da tempo si occupa di problemi inerenti agli armamenti nucleari e alle relazioni internazion)
Fonte: Peacereporter del 13 aprile 2006

Storia del Tnp.

La storia della proliferazione nucleare è effettivamente lunga, complessa e tortuosa. Dopo che le potenze nucleari avevano sviluppato questi armamenti (Usa nel 1945, Urss nel 1949, Gran Bretagna nel 1952, Francia e Israele nel 1960, Cina nel 1964), venne firmato nel 1968 il Trattato di Non Proliferazione Nucleare (Tnp, entrato in vigore nel 1970: Francia e Cina hanno aderito solo nel 1992, Israele non ha mai aderito). Questo trattato fu un compromesso: gli Stati che non avevano armi nucleari si impegnavano a non produrne, in cambio dell’impegno degli Stati nucleari ad effettuare il disarmo. Impegno palesemente non mantenuto. Il regime di non proliferazione così stabilito, e controllato dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Iaea), rimase gravemente asimmetrico, e comunque non impedì che gli arsenali nucleari aumentassero nei decenni della Guerra Fredda (fino a un massimo di 65mila testate nel 1986), anche se l’”equilibrio del terrore”, basato sulla strategia della “distruzione mutua assicurata”, contribuì forse ad evitare l’olocausto nucleare. Il crollo dell’Urss alimentò grandi speranze che le armi nucleari venissero riconosciute obsolete e fossero gradualmente eliminate. In effetti, si avviò un processo di eliminazione e di distruzione di testate. Questo processo però si arrestò: il numero di testate esistenti a livello mondiale nel 2004 era valutato in quasi 13mila e 500 operative (di cui circa 4mila non strategiche), su un totale di ben 27mila e 600 intatte, alle quali erano però da aggiungere altre migliaia di nuclei (pits) di plutonio immagazzinati come riserva strategica. Si prevede che quando le ulteriori riduzioni degli USA e della Russia saranno completate, nel 2012, rimarranno ancora 14mila testate intatte degli 8 Stati nucleari attuali.

Ritorno alla proliferazione.

Nel frattempo si è verificata una vera inversione di tendenza. Le potenze nucleari anno deciso che non si libereranno mai, per il futuro prevedibile, degli armamenti nucleari (si conoscono programmi ufficiali fino al 2040). I test dell’India e del Pakistan del 1998 sancivano l’ingresso di questi due paesi, non aderenti al Tnp, nel club nucleare, evidentemente dopo anni di ricerche segrete (ma con gravi complicità internazionali) in questo campo. Le dottrine relative alle armi nucleari hanno subito, in primo luogo negli Usa, un’evoluzione a dir poco allarmante, che ne prevede l’uso anche contro Stati a cui si attribuisca l’intenzione di usare armi di distruzione di massa (anche chimiche e biologiche), ed anche a scopo preventivo (va sottolineato che questa dottrina viola il Tnp, che implica l’assicurazione degli stati aderenti a non venire attaccati in nessun caso con armi nucleari). Insomma, gli armamenti nucleari costituiscono per i militari, e le potenze che li possiedono, ordigni di carattere troppo risolutivo per rinunciarvi, ed anche per rinunciare ad usarli. È in corso anzi la ricerca per realizzare armi nucleari di tipo completamente nuovo, di potenza più piccola e con minore radiazione residua, con l’intenzione di cancellare la fondamentale distinzione tra armi nucleari e convenzionali. Ma negli ultimi anni le cose si stanno mettendo molto peggio. L’Iran non è che il pretesto per tenere sotto tiro una regione strategica, e maschera il tentativo sempre più chiaro di mettere in soffitta l’intero regime di non proliferazione e di avviare una nuova fase della proliferazione nucleare, a uso e consumo della Casa Bianca. Si sta delineando una strategia sempre più chiara. La “partnership nucleare” lanciata dagli Stati Uniti con l’India (in chiara funzione anticinese - con il riconoscimento di uno Stato nucleare fuori dal Tnp), è una mostruosità che tende a vanificare il trattato, facendone un pezzo da museo.

Nuove potenze all'orizzonte.

A chi tocca ora? Periodicamente compaiono rivelazioni sull’appoggio del Pakistan ad un programma nucleare militare dell’Arabia Saudita, a cui seguono le rituali quanto scontate smentite. Ma il rischio più concreto è costituito oggi dal Giappone. È opportuno ricordare che, quando si trattò di aderire al Tnp, vi fu un dibattito negli ambienti governativi, tanto in Germania quanto in Giappone, per assicurarsi che l’adesione non avrebbe sbarrato in modo definitivo la strada a dotarsi di armi nucleari. I due paesi sono tra quelli che hanno accumulato i più ingenti quantitativi di plutonio dal riprocessamento del combustibile esaurito dei loro reattori nucleari (rispettivamente 24 e 40-45 tonnellate: per fare una bomba ne occorrono pochi chili, a seconda della sofisticazione).
Va ricordato che il plutonio costituisce l’esplosivo nucleare ideale, e che, anche se il plutonio generato nei reattori civili (reactor-grade) non ha le caratteristiche del plutonio militare (weapon-grade), può essere utilizzato per le bombe. Gli Usa e la Gran Bretagna hanno ufficialmente esploso testate con plutonio riprocessato. Il Giappone e la Germania sono dunque due paesi (ma non i soli) che possiedono i materiali e le capacità tecnico scientifiche per produrre armi nucleari sofisticate in tempi brevissimi (proliferazione latente, o stand-by). In Giappone è in corso una vera escalation: prende sempre più forza la volontà di rivedere la costituzione post-bellica in senso militarista, e parallelamente di realizzare armi nucleari. Questa escalation ha avuto un’impennata recentemente con l’apertura del nuovo impianto di riprocessamento di Rokkasho-Mura, un impianto da 21 miliardi di dollari, che separerà 8 tonnellate di plutonio all’anno.

Armarsi sottobanco.

Deve essere chiaro che il riprocessamento del combustibile nucleare esaurito ha l’unico scopo di separare il plutonio, poiché moltiplica invece il volume dei prodotti e delle scorie radioattivi da custodire. Tra pochi anni il Giappone diventerà il paese che possiede il maggiore quantitativo di plutonio al mondo. Per farne cosa? I sospetti sono più che legittimi. Si tenga presente che Washington non si è mai espressa contro eventuali progetti militari giapponesi, che può vedere di buon occhio in funzione anti-cinese. Vi è poi una circostanza molto grave, ma poco nota, da sottolineare. La Iaea è responsabile di controllare che i progetti nucleari non abbiano diversioni militari. Ma,a parte i limiti di budget dell’agenzia, le tecniche di controllo oggi disponibili per il plutonio sono soggette a incertezze ed errori intrinseci di qualche percento: in un impianto commerciale che riprocessa tonnellate di plutonio all’anno, è assolutamente impossibile rivelare la scomparsa, o il mancato rendiconto, di decine di chili di plutonio, quando ne bastano pochi chili per realizzare una bomba. Nell’impianto di riprocessamento britannico di Sellafield, nel 2004, si verificò una fuga della soluzione acida del combustibile irraggiato, che venne rivelata solo dopo 8 mesi, quando erano già usciti 83 mila litri di soluzione contenenti 160 kg di plutonio! Le ambiguità del Giappone sulla sua rincorsa al plutonio possono quindi legittimare i peggiori dubbi sulle sue reali intenzioni.

Fine del Tnp?

La produzione di plutonio nel mondo deve assolutamente essere arrestata: si pensi che ad oggi sono state prodotte ben 1.250 tonnellate di plutonio “civile”, di cui 250 sono state separate per riprocessamento (250 tonnellate di plutonio “militare”). Purtroppo gli Usa si oppongono da anni a stipulare un trattato per la limitazione della produzione di materiale fissile. Se la Corea del Nord avesse realizzato, come sostiene, alcune testate, potrebbe decidere di eseguire un test, qualora le altre strade possibili si chiudessero. Se questo avvenisse, non solo il Giappone, ma la Corea del Sud e Taiwan deciderebbero immediatamente di realizzare armamenti nucleari. D’altra parte, il messaggio è chiaro: chi ha la bomba, mettendo la comunità internazionale davanti al fatto compiuto, sarà rispettato! Così è per l’India e il Pakistan. La Corea del Nord non è attualmente minacciata di un attacco, mentre lo è l’Iran, accusato solo di volere la bomba in futuro. Se questo processo proseguirà, vi è il rischio concreto che molti paesi trovino penalizzante la loro adesione al Tnp e considerino l’opportunità di abbandonarlo (cosa che il trattato consente). I rischi di una ripresa della proliferazione nucleare su scala mondiale, quindi, sono oggi molto concreti. Se qualcuno pensa che questo quadro sia troppo allarmistico, tenga presente che le armi nucleari si differenziano da tutte le altre perchè vanno fermate prima di essere usate e perché il loro uso apre la strada a scenari apocalittici che non hanno uguali. Vi è una sola strada possibile: riprendere il processo di disarmo nucleare totale, incominciando con l’informazione e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica, sostenendo il gruppo di paesi impegnati in questo senso, rafforzando il Tnp ed il sistema di verifiche, riprendendo le decisioni dell’Assemblea Generale dell’Onu, estendendo le Zone Denuclearizzate e arrestando la produzione di materiali fissili.

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