Il giallo delle atomiche a Napoli: «Siluri e mine sovietiche nel porto? E’ un’invenzione»
(fra. mar. cir.)
Ha riso fragorosamente Vladimir Cernavin, ex comandante in capo della Marina militare sovietica e eroe della seconda guerra mondiale, quando è stato “informato” delle rivelazioni enunciate da Paolo Guzzanti, senatore di Forza Italia e presidente della commissione d’inchiesta “Mitrokin”. «Come ex comandante della Marina sovietica avrei dovuto conoscere questi piani, se ci fossero stati, ma non ne ho mai sentito parlare - afferma l’ammiraglio ora in pensione e presente in Italia per le celebrazioni del sessantesimo anniversario della vittoria sul nazismo -. Questi piani non sono mai esistiti ed è la prima volta che ne sento parlare, può darsi che sia uno scherzo oppure bisognerebbe chiedersi perché qualcuno ha sollevato la questione e perché proprio in questo momento. L’Unione sovietica, prima, e la Russia, ora, hanno sempre voluto vivere con l’Italia in uno spirito di pace e di amicizia».
La questione, controversa dal punto di vista politico e complicata per la presenza di servizi segreti, è diventata oggetto di battaglia politica. La miccia che ha acceso gli animi è stata innescata da Paolo Guzzanti,presidente della commissione Mitrokin e senatore di Forza Italia, che ha affermato: «Tra la fine degli anni Settanta e l’ inizio degli Ottanta l’Urss preparò i piani per un attacco improvviso all’Europa occidentale. L’Unione sovietica avrebbe lanciato bombe atomiche per una potenza pari a 1.050 volte la bomba di Hiroshima invadendo l’Europa con 180 divisioni corazzate».
Alle accuse lanciate dal senatore del partito del premier replica, divertito Mauro Bulgarelli, parlamentare dei Verdi: «A sentire il senatore tutta l’Italia è sull’orlo dell’ecatombe atomica - commenta Bulgarelli -. Per fortuna fino ad ora gli allarmi lanciati dal senatore e provenienti dal famigerato dossier Mitrokin si sono rivelati senza fondamento (ricorda l’allarme lanciato per l’isola della Maddalena, poi smentito, ndr). I problemi in relazione alla presenza di armi e unità navali a propulsione nucleare ci sono e non vanno sottovalutati, ma credo che sia più opportuno cercare in “casa” nostra piuttosto che inseguendo i fantasmi moscoviti. Certo anche i sovietici hanno contribuito alla diffusione di tali armi, ma quella di Guzzanti per ciò che fu l’Armata Rossa è, a mio parere, una vera e propria ossessione. Se poi - conclude Bulgarelli - la presenza di questi ordigni venisse confermata significherebbe che il tanto pubblicizzato sistema di difesa Nato, negli ultimi 40 anni, avrebbe fatto “acqua” da tutte le parti».
Professore, ritiene che il rischio esplosione sia reale?
«Non ho i dati certi tra le mani, ma a quanto ne so quel tipo di armamenti dovrebbe essere adatto a sopportare torsioni di forte intensità. Ritengo, dunque, difficile che possa verificarsi una vera e propria detonazione e quindi un’esplosione».
Ritiene troppo allarmistiche le voci che parlano di un possibile scoppio?
«Ripeto - sottolinea il vulcanologo -, non ho elementi sufficienti per essere preciso, ma di solito questo tipo di armamenti dovrebbe essere preparato a resiste a forti pressioni e torsioni».
Nel Golfo di Napoli ci sono numerosi vulcani sottomarini, l’eventuale esplosione e il conseguente aumento della temperatura potrebbe inficiare sullo stato di conservazione di queste strutture militari?
«Non credo. Se si parla, come dovremmo, di siluri a testata nucleare ritengo improbabile che la fuoriuscita di materiale lavico possa contribuire a surriscaldare le ipotetiche testate scatenando la tanto temuta reazione a catena».
Allora possiamo essere comunque tranquilli?
«Non proprio. Più che funghi atomici sottomarino credo che i problemi seri potrebbero essere causati dall’eventuale dispersione del materiale radioattivo nell’acqua. Più che di paura da detonazione parlerei della necessità di eliminare le fonti inquinanti. Purtroppo il Meditarraneo, il mar Tirreno, come lo Jonio, sono stati per anni “mete” di operazioni Top Secret in cui, abbiamo saputo dopo, si sono verificati molti incidenti che hanno causato un forte inquinamento ambientale».
(fra. mar. cir.)
sul Vesuvio l’antenna che li attiva
Un’antenna trasmittente collocata sulle pendici del Vesuvio potrebbe attivare venti missili nucleari sovietici che giacciono, da oltre 35 anni, sul fondale del golfo di Napoli. È il retroscena - da brivido - contenuto in un dossier “top secret” della commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Mitrokhin, un dossier riservato finito il 12 novembre scorso sulla scrivania di Guido Bertolaso, direttore generale della Protezione civile. A consegnarlo, il consulente della commissione parlamentare Mitrokhin, Mario Scaramella. La stessa persona che, il 20 marzo dello scorso anno, fu coinvolta in una misteriosa sparatoria alle pendici del Vesuvio.
Quel giorno Scaramella, 35 anni, si trovava in compagnia del collega Fulvio Mucibello. I due, consulenti dell’ente parco del Vesuvio, erano incaricati di effettuare un sopralluogo in un’area dove era stata abbattuta la villa abusiva di un boss di Ercolano, Lorenzo Cozzolino. Una missione per conto dell’ente parco del Vesuvio, ma soltanto in “via ufficiale”. Perché in realtà Scaramella, che aveva un appuntamento con due agenti di polizia penitenziaria in servizio al carcere di Secondigliano, stava effettuando un sopralluogo per studiare un’antenna sospetta, collocata a due passi dalla villa del boss. Una trasmittente che avrebbe potuto attivare i missili nucleari sovietici che giacciono, da oltre trent’anni, sul fondale del golfo di Napoli. Ma quel giorno sul Vesuvio c’erano anche quattro uomini armati fino ai denti, uomini della camorra incaricati di recuperare un carico di armi nella villa del camorrista abbattuta per abusivismo edilizio.
L’orologio segna le 7 quando avviene il conflitto a fuoco. Scaramella e il suo collaboratore sono appena arrivati in via del Vesuvio 67 sui detriti della costruzione da poco abbattuta. Poco distante c’è un’altra auto, una Peugeot 206 grigio metallizzata con a bordo le quattro persone. Pochi minuti, per una dinamica ancora confusa. I quattro si mostrano stupiti della presenza di Scaramella e degli altri tre uomini. Impugnano le pistole e dapprima sparano in aria, per spaventarli. Ma ricevono un’immediata reazione: i due agenti penitenziari (Raffaele De Simone e Saverio Diana) estraggono le pistole e rispondono al fuoco. I quattro fuggono sulla Peugeot, su cui si scaricano i colpi degli agenti. L’abbandonano in strada. Uno dei malviventi è ferito e viene scaricato all’ospedale Maresca di Torre del Greco, dove viene fermato dalla polizia. Si chiama Vincenzo Spagnuolo, ha 35 anni e sarebbe legato al clan camorristico degli Ascione. La fuga degli altri prosegue su una seconda auto, parcheggiata appena fuori la strada. Sullo sterrato, vengono trovati sette bossoli e un proiettile inesploso. La Peugeot ha un foro da proiettile all’altezza del posto di guida ed il lunotto posteriore in frantumi. I quattro uomini erano sul Vesuvio per recuperare due mitra e tre bombe a mano prima che arrivassero le ruspe.
Per quella vicenda l’inchiesta della Procura è arrivata nei giorni scorsi alla prima svolta. I pm della Dda Giovanni Corona e Cesare Sirignano hanno infatti chiesto il rinvio a giudizio di Vincenzo Spanuolo per quadruplice tentato omicidio. Sarebbe stato lui a sparare quella mattina sul Parco del Vesuvio, anche se gli altri protagonisti della sparatoria non sono stati ancora identificati.
Ma restano aperti inquietanti interrogativi. Il primo relativo alla presenza della villa di un boss a due passi dall’antenna trasmittente; il secondo legato ad un’altra presenza, ancor più inquietante. Quella di alcune famiglie provenienti dall’Ucraina, tra questi anche ex militari dell’Urss, che vivono in alcune villette ubicate proprio in prossimità della potente trasmittente.
Nel frattempo, nulla è cambiato. L’antenna è ancora al suo posto, così come i siluri nucleari sovietici che giacciono sul fondale del golfo di Napoli. È il 10 gennaio 1970 - si legge nel rapporto della commissione Mitrokhin - quando un sottomarino nucleare della classe November distaccato presso la Quinta Squadra (Mediterraneo) della marina sovietica viene comandato dal Gru (intelligence militare centrale) e dalla competente Ru (intelligence navale) di allocare un numero imprecisato di siluri atomici tattici nel golfo di Napoli. Secondo la ricostruzione, il sommergibile aveva a bordo 24 siluri, tra anti-portaerei e anti-sommergibile. Tre mesi dopo, lo stesso sottomarino fu affondato nell’Atlantico con 4 siluri nucleari a bordo. Si presume, quindi che gli altri 20 siano stati effettivamente “allocati” nel Golfo per minare l’area dove si trovavano la metà delle unità della Sesta Flotta Usa. Bertolaso ha spiegato di aver trasmesso il rapporto all’intelligence italiana e alle Forze Armate. Il capo della Protezione Civile ha spiegato di essere stato informato che l’episodio era da sempre noto, ma che non ci sono conferme.L’episodio s’inquadra, secondo molti in una vera a propria strategia della marina sovietica di collocare materiale radiologico nelle vicinanze delle basi americane, con lo scopo poi di accusare gli Usa delle perdite di materiale nucleare.
Di Gianluca Mancuso
Quotidiano Napolipiù 18/3/05
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