Newsletter 39

10 gennaio 2004
Fonte: Associazione Metro Olografix
http://newsletter.olografix.org - 06 ottobre 2003

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.: IN PRIMO PIANO :.
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Asimmetrie del diritto: il brevetto
Non è vero - come vorrebbe la teoria dominante - che coprire le invenzioni con i brevetti costituisca uno stimolo alla scoperta. E il progresso economico dei paesi, spesso, si poggia sulla capacità di «copiare» quello che - nell'uso - si rivela più utile e produttivo
FRANCO CARLINI

Londra, 1851: ecco la meraviglia delle meraviglie, il Crystal Palace, progettato in soli dieci giorni, voluto dal principe Alberto, consorte della regina Vittoria e realizzato con una struttura insieme poderosa e leggera di acciaio e vetro (perciò il nome di Palazzo di Cristallo) a Hyde Park. Era allora il più grande spazio coperto al mondo, con un'estensione pari a quattro volte la basilica di San Pietro e in quel luogo l'Inghilterra vittoriana celebrava se stessa e il suo ruolo di leader industriale. Alla Great Exhibition parteciparono 7.062 espositori da 25 paesi e 15 colonie e venne visitata da più di sei milioni di visitatori. Venticinque anni dopo, nel 1876, un evento analogo si svolgeva il terra americana: fu la Centennial Exhibition di Filadelfia, in occasione del centenario della Dichiarazione di Indipendenza: quasi un passaggio di mano e di leadership industriale. I cataloghi dettagliati dei 32.952 prodotti esibiti in quelle due grandi fiere hanno qualcosa da dirci anche sull'oggi e su un tema scottante, quello dei diritti di proprietà intellettuale, grazie a uno studio meticoloso di Petra Moser, della Sloan School of Management del Mit. La studiosa ha dunque costruito e poi analizzato un grande database per cercare di capire il ruolo del sistema dei brevetti nello stimolare l'innovazione, nei diversi paesi. Per questo suo lavoro è stata di recente premiata dall'associazione americana di storia economica.

La teoria consolidata dice che i brevetti, con i quali un inventore ottiene dallo stato un monopolio limitato nel tempo (di solito 20 anni) per lo sfruttamento esclusivo della sua invenzione, hanno una potente funzione di incentivo alla ricerca; se non ci fosse quella protezione e se ognuno potesse liberamente copiare le invenzioni altrui, allora agli inventori passerebbe la voglia di farlo.

Fin qui la teoria, che però non si appoggia sempre su adeguate basi storiche o empiriche. Va notato tra l'altro che solo una parte dei brevetti registrati diventa una innovazione economicamente utile e che, viceversa, non tutte le innovazioni tecnologiche sono brevettate.
L'analisi fatta da Moser sugli oggetti esposti nella seconda metà dell'ottocento a Londra e Parigi indica una situazione molto più differenziata, per settori tecnologici e per paesi. Per dirla con le parole della stessa studiosa: «non ho trovato alcune prova che le leggi sui brevetti incrementino effettivamente il livello di attività innovativa, ma semmai la prova che le leggi influenzano la distribuzione dell'innovazione tra le diverse industrie».

In quei tempi tre paesi non avevano una legislazione sui brevetti: erano la Svizzera, l'Olanda e la Danimarca, ma ciò nonostante erano ben presenti alla fiere e ricevettero anche molte medaglie per i prodotti presentati. La Svizzera in particolare si distingueva per i molti strumenti scientifici e per le tecniche relative al trattamento del cibo. La studiosa si guarda bene dal trarre dalla sua analisi delle leggi generali, ma i dati empirici che propone meritano una riflessione.
Intanto c'è la conferma che molti paesi, nella fase della loro prima industrializzazione, traggono maggiore beneficio dalla importazione (e eventuale copiatura) delle invenzioni di altri paesi: in qualche modo tutti i sistemi economici (anche quello statunitense) sono stati dei pirati della proprietà intellettuale altrui. Solo quando una certa industria locale si è sufficientemente sviluppata, allora quel paese sente il bisogno di tutelarla dotandosi di leggi sui brevetti. Così è andata la storia e così sta succedendo anche oggi, a conferma che il diritto allo sfruttamento della proprietà intellettuale non può essere considerato un diritto assoluto, ma che è storicamente situato, all'interno di un processo.

La Svizzera per esempio quando infine adottò una legge nazionale, decise che potevano essere brevettate solo quelle invenzioni che potevano essere rappresentate con dei modelli o delle repliche fisiche. E perché mai? Perché in questo modo sarebbero rimaste esclusi i processi chimici e di colorazione dei tessuti che la sua industria nazionale abbondantemente copiava dall'estero.

I quali brevetti, peraltro, non sono sempre così efficienti nella protezione: infatti per ottenerne uno occorre depositare negli appositi uffici una dettagliata descrizione dell'invenzione e questo apre la strada, inevitabilmente, a dei rischi di copiatura. Ecco allora che i famosi orologiai svizzeri dell'ottocento non ci pensano nemmeno a brevettare alcunché: mettono in atto invece altri meccanismi di autotutela, il cui scopo è di mantenere il segreto industriale. Per esempio gli orologiai di Ginevra vietano l'ingresso a ogni estraneo nei loro laboratori e quelli della valle di Joux si accordano per non assumere nelle loro imprese alcun apprendista, per il timore che questi diffondano all'esterno i loro segreti. Da qui sembra emergere un'altra regola empirica: il brevetto viene usato con profitto soprattutto nel caso di invenzioni che siano facilmente imitabili: in questo caso permette di difenderle almeno per un po' di tempo. Se invece è difficile scoprire come un'invenzione funziona, allora sarà più efficace la pratica del segreto industriale.

Raccontando la sua ricerca in un seminario alla università del Maryland, Petra Moser ha commentato: «Noi stiamo cercando di forzare l'emanazione di leggi sui brevetti nei paesi in via di sviluppo, dicendo loro che `questo è buono per voi'. E ci stupiamo quando ci dicono che non le vogliono. Ma essi hanno un punto di forza dalla loro perché leggi di quel tipo possono frenare l'innovazione in quei paesi».

http://www.ilmanifesto.it/oggi/art72.html
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/05-Ottobre-2003/art72.html

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.: TECNOLOGIA&INTERNET :.
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Microsoft Chat chiude, salvi bambini e portafogli
di Paolo Attivissimo

Da metà ottobre sparirà in tutta Europa l'area chat del portale MSN di Microsoft. Motivazione ufficiale: troppo spam e troppi pedofili. Il colosso di Redmond colora di impegno sociale una mossa commercialmente astuta

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MSN Chat, l'area chat di Microsoft, chiude in tutta Europa a partire dal 14 ottobre. Il comunicato Microsoft non lascia dubbi sulle motivazioni ufficiali. "La decisione è stata presa in considerazione del crescente uso inappropriato delle chat, come la massiccia espansione dello spamming e l'aumento della diffusione di contenuti illegali. MSN.it considera la sicurezza dei propri utenti e la tutela dei minori un obiettivo primario." Per la sicurezza dei nostri bambini, Microsoft è disposta a sacrificare cinquecentomila euro di fatturato, come sottolinea Stefano Maruzzi, direttore generale di Msn.it.

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Se seguite da qualche tempo i miei deliri digitali, sapete benissimo che non venero granché la società di Bill Gates (il sentimento è probabilmente reciproco). Però stavolta devo lodare Microsoft per una scelta non solo commercialmente geniale, ma anche socialmente utile.

Prima di passare alle lodi, però, metterei in chiaro qualche dettaglio. La tutela dei minori, come immagino avrete sospettato, è una foglia di fico, e pure piuttosto striminzita. I servizi di chat di Microsoft, e l'intero portale MSN, erano nati come investimento strategico per strangolare AOL, grande concorrente Internet di Microsoft soprattutto negli USA. Pur di fare le scarpe al megaprovider americano, Microsoft ha lasciato che la divisione MSN lavorasse in perdita per anni, rimettendoci per esempio 641 milioni di dollari nel 2002 e altri 299 milioni nell'anno fiscale 2003.

Di fronte a queste cifre, cosa volete che siano cinquecentomila euro (di fatturato, non di profitto)? Un investimento saggio per farsi tanta, tanta pubblicità gratuita e fare in modo che una volta tanto Microsoft compaia nei titoli dei giornali per il proprio "impegno sociale" invece che per l'ennesima falla di sicurezza.

Il guaio è l'investimento strategico in MSN non ha funzionato bene come quello fatto a suo tempo per eliminare Netscape dal mercato dei browser.AOL, a differenza di Netscape, non è affatto schiattata, per cui a Redmond è giunta l'ora di riconoscere la sconfitta e contenere le perdite. Chiudere MSN Chat con la scusa di salvare i bimbi è dunque un modo molto elegante di trasformare una ritirata in una promozione pubblicitaria.

Non saranno delle cime a scrivere software, ma in fatto di marketing quelli di Microsoft battono tutti. Infatti gran parte dei media ha riferito la notizia della chiusura di MSN Chat con straordinaria risonanza, ottenendo il plauso di molte associazioni per la tutela dei minori, senza soffermarsi a notare che combattere la pedofilia chiudendo le chat di un solo provider è come reprimere la prostituzione
abolendo i marciapiedi di un singolo quartiere.

Bimbi di serie B
La trasparenza della foglia di fico comincia a rivelare assai più del dovuto se si considera che il blocco di MSN Chat riguarda soltanto l'Europa. Negli USA, in Canada e in Giappone, infatti, la chat andrà avanti, anche se sarà necessario abbonarsi a MSN tramite carta di credito. Ufficialmente questo serve a impedire gli accessi anonimi, come se per un malintenzionato fosse difficile procurarsi una carta di credito e operare sotto falso nome (pensavate che vi avesse davvero scritto la moglie dell'ex capo di stato nigeriano per dividere con voi 26 milioni di dollari?). In questi paesi dunque si può continuare a spammare e irretire su MSN. Basta pagare.

Soltanto in Nuova Zelanda e Brasile, chissà perché, le chat di MSN adotteranno la soluzione che davvero tutela i minori, ossia saranno tutte sorvegliate da un moderatore. Il caso più strano in assoluto è quello di Israele, dove il servizio di chat andrà avanti esattamente come prima. Chissà cosa induce Microsoft a pensare che spammer e pedofili non dimorino in quella terra tormentata. Il fatto che la chat Microsoft israeliana è data in subappalto e quindi non comporta
perdite per Redmond è, naturalmente, una pura coincidenza.

La scusa di salvare i bimbi non solo non sta in piedi, ma cade più rovinosamente di un Segway con la batteria a terra quando si prosegue la lettura del comunicato di Msn.it. Qual è la soluzione Microsoft per proteggere i pargoli, beninteso quelli di serie A? Offrire "nuovi e innovativi servizi di comunicazione online, come MSN Messenger. In questo modo i consumatori potranno comunicare e interagire in un
ambiente più sicuro".

Ma davvero? Lanciate MSN Messenger 6.0 e scegliete Contatti, Cerca un ontatto, Cerca in base agli interessi. Può darsi che dopo il 14 ottobre le cose cambino, ma per ora questi comandi conducono il vostro browser alle sezioni di Messenger.msn.com, nelle quali è facile scegliere Persone, Amore, 13-19 per trovare tanti adolescenti sentimentalmente vulnerabili, belli pronti e preselezionati. Serviti su un piatto d'argento ai predatori. Se le cose restano così, è difficile argomentare che una migrazione a MSN Messenger migliori la tutela dei nostri giovani creando "un ambiente più sicuro".

Forse il "più sicuro" si riferisce alla maggior sicurezza di guadagni che MSN Messenger offre a Microsoft rispetto alla chat. La società di Redmond infatti intende farsi pagare da qualunque altra società voglia produrre client compatibili con i servizi di messaggistica istantanea di MSN Messenger. Il che significa che i programmi alternativi a Messenger non potranno essere gratuiti. Volete chattare con utenti MSN tramite Linux o dal vostro cellulare o da provider diversi da MSN?
Pagate.

In altre parole, con la scusa di salvare gli innocenti dai pericoli delle chat gratuite si fa pubblicità al nuovo servizio a pagamento. Geoff Sutton, General Manager europeo di MSN, lo dice chiaro e tondo a Wired: la chiusura di MSN Chat "è una decisione basata sulle esperienze dei consumatori, sulla protezione dei bambini e sul nostro investimento strategico per rafforzare MSN Messenger".
Più chiaro di così non si può.

Socialmente utile
Nonostante tutto, la mossa di Microsoft merita la lode non soltanto dal punto di vista del marketing, ma anche da quello della salute della Rete. I vegliardi di Internet fanno fatica a rendersene conto, ma c'è ormai una generazione di utenti che è cresciuta all'ombra di Internet Explorer. Per loro, Microsoft non è un modo per accedere a Internet: Microsoft è Internet.

Scoprire improvvisamente che esistono infiniti altri modi per chattare, senza dipendere dalle soluzioni Microsoft, sarà per loro un'esperienza drammatica ma educativa. E' questo il senso in cui trovo socialmente utile la scelta di chiudere MSN Chat: obbliga gli utenti a guardarsi intorno e rendersi conto che possono camminare anche senza la costosa e fragile stampella di Bill Gates. Così facendo, potrebbero notare che esistono alternative a Microsoft anche per molte altre cose, e che la Rete può vivere anche senza farfalline animate e icone svolazzanti. Per un adolescente, nulla è inebriante come la libertà.

01 Ottobre 2003 - Articoli - http://www.apogeonline.com/webzine/
2003/10/01/01/200310010101

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IL CALDO SETTEMBRE DI APPLE
Nuovi portatili, tastiera e mouse senza fili, aggiornamenti per iMac e iPod ma anche segnali positivi dal mercato della Mela: tutto pronto per l'esordio di "Panther", nuova e attesa versione del sistema operativo OS X
di Nicola D'Agostino
http://www.mytech.it/mytech/computer/art006010049578.jsp
Fotogallery correlata
http://www.mytech.it/mytech/photogallery/art006010049554.jsp

Codice di condotta per il peer-to-peer
A promuoverlo sono grandi nomi del P2P: a loro dire un'intesa con le major è possibile anche se escludono qualsiasi filtro contro lo scambio libero di materiali. RIAA, intanto, compone 64 delle 261 denunce contro utenti P2P
http://punto-informatico.it/p.asp?i=45424

EFF BOCCIA I TRUSTED-PC
L'architettura immaginata da IBM, Intel, Microsoft ed altri non piace alla Foundation per un solo fondamentale motivo: costringe l'utente ad accettare visite e controlli da remoto sul proprio PC. Cosi', dice EFF, non puo' funzionare
URL: http://punto-informatico.it/pi.asp?i=45452

NESSUNA PIETA' PER I BUG HUNTER
Hanno agito in modo assolutamente spregiudicato i membri di una piccola azienda che ha esposto le vulnerabilita' di sistemi governativi e militari americani. Finiranno tutti in prigione
URL: http://punto-informatico.it/pi.asp?i=45451

LANCIATO UN NUOVO ANONYMOUS REMAILER
Lo annuncia il Progetto Winston Smith, attivo nel supporto alla realizzazione di servizi per la privacy digitale, dai nodi Freenet agli Pseudonym Server e oltre. Il nuovo remailer accessibile anche da web
URL: http://punto-informatico.it/pi.asp?i=45450

FINANZIARIA, ECCO COSA ARRIVA ALL'ICT
Il ministero all'Innovazione annuncia e descrive con qualche dettaglio in piu' gli stanziamenti previsti per alfabetizzazione informatica, sviluppo delle imprese e innovazione
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E' NATA OPENOFFICE 1.1
OpenOffice.org rinnova la sfida a MS Office lanciando una nuova versione della celebre suite open source. Aggiunte diverse funzionalita', migliore look and feel, maggiori stabilita' e compatibilita' con Office
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E ACLU DENUNCIA RIAA
L'associazione ritiene che l'identificazione forzata degli utenti internet accusati di pirateria violi alcuni diritti costituzionali fondamentali. Un altro problema per le major
URL: http://punto-informatico.it/pi.asp?i=45420

TIA, MORTE PER SOFFOCAMENTO
Il progettone che avrebbe garantito ai cybercop statunitensi un accesso senza precedenti alle informazioni di chiunque, viene bocciato dal Congresso. Si torna a respirare
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L'INDIA INCIAMPA SULLA CENSURA WEB
Il Governo indiano protagonista di un grave episodio repressivo che, per ragioni tecniche, si estende fino ad impedire agli utenti di quel paese di accedere a tutti i gruppi di discussione di Yahoo!
URL: http://punto-informatico.it/pi.asp?i=45421

BREVETTI, IL SI' DELL'EUROPA
Al dunque il Parlamento europeo approva la normativa dei brevetti sul software ma lo fa passando una quantita' di emendamenti che rendono il tutto meno pesante del temuto. Scende il tono delle polemiche ma la tensione resta alta
URL: http://punto-informatico.it/pi.asp?i=45347

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Se c'è il copyright anche sulla mela
Persino un arresto, negli Usa, per «furto di innesti» elaborati da un'università
C. F.

Una donna seduta a gambe aperte sopra una televisione anni `50: ormai basta una posizione, una suggestione o un oggetto per violare il copyright. Anche un'immagine infatti può essere oggetto di contesa in tema di copyright e la più recente disputa tra Madonna e Samuel Bourdin, figlio dello scomparso fotografo Guy Bourdin, solleva pesanti dubbi sui confini tra originalità e plagio. Samuel Bourdin infatti accusa la cantante rock di essersi ispirata nel suo ultimo video «Hollywood», all'ambientazione e alla narrazione di ben 11 foto del padre coperte da copyright che apparirono tra gli anni `50 e gli anni `80 su Vogue Francia. La corte di Manhattan è chiamata a esprimersi in questi giorni. E sarà che hanno perso l'innocenza da tempi biblici, ma anche con le mele bisogna stare attenti. Specie se sono succose e croccanti come la Honeycrisp, un incrocio tra la Macoun e la Honeygold intensamente coltivato nella contea di Wayne, stato di New York. Ma soprattutto se la varietà in questione è coperta da un brevetto detenuto dalla Università del Minnesota. Raccogliere dunque una qualsiasi parte della pianta, e soprattutto i suoi germogli, può essere molto pericoloso.
Se n'è accorto Kevin C. Lessord, un giovane americano che è stato colto in flagrante mentre faceva man bassa di innesti di Honeycrisp. Cosa volesse farne non è dato sapere. Il punto è che ora Lessord rischia fino a quattro anni di prigione. La vicenda è subito rimbalzata a livello nazionale, attirando le attenzioni di un gruppo impegnato nella difesa dei diritti di proprietà intellettuale in agricoltura, la Nursery Licensing Association. Che non si è fatta scappare l'occasione: il caso Lessord, ha commentato l'associazione, servirà per diffondere tra i coltivatori la consapevolezza che «prelevare degli innesti è un reato penalmente perseguibile». Per la Nla si tratterebbe infatti di una chiara violazione delle leggi sui brevetti.

http://www.ilmanifesto.it/oggi/art73.html
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/05-Ottobre-2003/art73.html

La contraffazione, o il microchip del controllo totale
Si moltiplicano negli Stati uniti gli «allarmi» su medicinali, e fanno avanzare le tecnologie invasive
GABRIELE DE PALMA

Negli Stati Uniti la Food and Drug Administration (Fda) ha recentemente lanciato preoccupati moniti sulla qualità dei farmaci acquistati via Internet da paesi stranieri. Il pericolo paventato è la contraffazione e la relativa inefficacia e dannosità di medicinali che non hanno la diretta approvazione della stessa Fda. In una serie di controlli doganali effettuati nelle poste centrali di New York, San Francisco e Miami, in un solo giorno sono state rinvenute 1153 confezioni di medicinali, il 90% delle quali «sembrava» contraffatto.

I controlli fanno parte di una campagna anti-contraffazione lanciata dalla Fda nel luglio scorso, e almeno in parte è dovuta al notevole incremento degli acquisti on-line di medicinali. Si calcola che i farmaci «made in Usa» costino in media il doppio rispetto agli stessi farmaci venduti oltre confine.

Al di là degli ovvi interessi economici (stratosferici) che inducono la Fda a diffidare i cittadini statunitensi dall'acquisto di farmaci all'estero, è utile distinguere due aspetti della questione. Da una parte il tentativo di difendere il ruolo di dominio delle grandi industrie farmaceutiche (che si sentono insidiate da nuove realtà
emergenti), dall'altra la difesa della salute dei cittadini.

Sì, perché se la contraffazione è di per sé una truffa, è ben più grave che si riferisca ai medicinali e agli alimenti che ai capi d'abbigliamento.

Per scongiurare tale problema la Fda si sta preparando ad adottare uno degli ultimi ritrovati tecnologici: il Radio-frequency identification (Rfid).

Si tratta di una tecnologia, ancora in sperimentazione, basata su chip elettromagnetici che contengono informazioni specifiche che vengono trasmesse attraverso onde radio. I chip, di dimensioni microscopiche (i più piccoli hanno dimensioni misurabili in micron), vengono inseriti in un prodotto e comunicano ad un ricevitore diverse informazioni, da un semplice codice identificativo a dati
più articolati.

Ci sono almeno due tipi di Rfid attualmente in sperimentazione: uno attivo, dotato di microbatterie e che trasmette continuamente ad un ricevitore i dati in suo possesso; l'altro passivo, privo di batterie e che si attiva quando colpito da uno specifico impulso radio.

Per ora i Rfid attivi sono troppo costosi (20$) per un utilizzo su larga scala, mentre quelli passivi, commercializzabili intorno ai 0,20$, sembrano rappresentare il futuro molto prossimo dei sistemi anti-contraffazione, e non solo per i farmaci.

Sono già stati approntati Rfid resistenti all'acqua e destinati ai capi d'abbigliamento, si pensa di inserirli nelle banconote e anche nei prodotti tecnologici per scongiurare l'utilizzo di parti di ricambio non autorizzate.

L'ormai prossima introduzione del radio-frequency identification mette in allarme (giustificato) tutti coloro che temono un domani alla «Minority Report», ma può rappresentare una momentanea assicurazione contro i più speciosi casi di contraffazione.

La tecnologia è ormai a disposizione. Sul suo utilizzo, le sue finalità e le conseguenze che comporterà sarà opportuno tenere gli occhi ben aperti.

http://www.ilmanifesto.it/oggi/art74.html
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/05-Ottobre-2003/art73.html

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Associazione Culturale Telematica
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a cura di Loris "snail" D'Emilio
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Hanno collaborato a questo numero:
Nicola "nezmar" D'Agostino
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Marcello "marcellino" Sonaglia
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