Libera cultura in libera Internet

Si diffonde sempre di più l'accesso gratuito a pubblicazioni scientifiche, archivi musicali, testi e dispense universitarie. Un nuovo modo di vedere la rete che non coinvolge più soltanto i giovani attivisti ma istituzioni più «tradizionali» come il Mit di Boston e la British Library. E il governo Usa ammette: il sistema dei brevetti di software può frenare lo sviluppo economico
9 novembre 2003
Franco Carlini
Fonte: Il Manifesto - 09 Novembre 2003
Succede una cosa strana nell'Internet: da un lato si commercializza e si privatizza sempre di più e la rete è luogo di violente campagne di censura e di conflitti sulla proprietà intellettuale dei contenuti; questo aspetto, peraltro in atto da tempo, è stato accelerato dai problemi crescenti di insicurezza, terrorismo, pedofilia. Ma dall'altro, proprio sul terreno più critico del copyright e della circolazione delle idee, si vanno sviluppando iniziative importanti di «consegna» al pubblico dominio di materiali che fanno storia e cultura. E si badi bene, non si tratta di operazioni condotte dai soliti «estremisti» di Indymedia o dai cultori del movimento per il software libero e aperto; i protagonisti sono sovente istituzioni importanti e rispettabili, che nessuno può ragionevolmente accusare di radicalismo culturale. Tra le mosse più significative c'è senza dubbio quella del Massachusetts Institute of Technology che è passato da ottobre alla fase operativa della sua messa in rete di tutti i materiali didattici prodotti dai suoi corsi: a differenza di altre università che cercano affannosamente di fare soldi grazie all'insegnamento a distanza, il Mit regala (sì, regala) dispense e esercitazioni a studenti di tutto il mondo. E sono materiali di grande valore, che si tratti dei corsi di Fisica come di quelli di Antropologia; così facendo il politecnico del Massachusetts enfatizza al meglio la vocazione pubblica e civile della produzione culturale e dell'insegnamento.

Nel frattempo, e sempre sul terreno della ricerca, ha preso il via definitivamente la Public Library of Science (PLoS), creata da un gruppo di ricercatori, specialmente di biologia, senza fini di lucro, ma con lo scopo di rendere pubblicamente disponibile la letteratura scientifica e medica. Plos Biology dunque è una rivista leggibile e scaricabile gratuitamente da chiunque, a differenza di quelle classiche che costano centinaia di dollari, ma per il resto opera come tutte le serie pubblicazioni scientifiche, dove gli articoli vengono esaminati preventivamente da esperti del ramo e validati per la pubblicazione. I costi vengono sostenuti dagli autori stessi e questo non solo è ragionevole (perché essi ne guadagnano in visibilità a autorevolezza), ma non è diverso da quanto avviene già per le riviste di carta che chiedono agli autori sostanziosi contributi monetari, contemporaneamente riscuotendo altrettanto sostanziosi abbonamenti.

Sempre sul fronte delle scienze della vita, una sezione biologica (chiamata q-bio) è stata appena inaugurata nello storico sistema di pubblicazione dei preprint chiamato arXiv. I preprint sono materiali provvisori che vengono sottoposti alla comunità degli studiosi, senza preventiva verifica e sotto la responsabilità degli autori; servono a fare circolare rapidamente le idee e i risultati preliminari e in qualche modo anche a rivendicarne la priorità.

L'organizzazione scientifica non profit inglese Wellcome Trust ha pubblicato di recente un'analisi dello stato della diffusione delle conoscenze, intitolato «An economic analysis of scientific research publishing» da cui trae la considerazione che l'attuale sistema a pagamento «non opera nell'interesse del pubblico e degli scienziati ma è invece dominato da un'intenzione commerciale di mercato».

Ma anche su altri terreni cresce la libera messa in piazza delle idee. Micheal Hart che nel lontanissimo 1971 lanciò il progetto Gutenberg per rendere disponibili a tutti e in tutto il mondo i libri non coperti da diritto d'autore, annuncia con comprensibile orgoglio che è stata superato il numero simbolico di 10 mila eBook; l'ultimo pubblicato è la Magna Carta inglese. E il suo esempio adesso va contagiando altri settori, come quello delicatissimo della musica dove è stato annunciato un analogo archivio mondiale delle composizioni ed esecuzioni storiche. Si chiama Project Gramophone ed è un'idea dell'americano Jon Noring, appassionato di jazz e fondatore di un'azienda californiana specializzata in libri elettronici. Noring ha delineato le linee guida e si sta ora picchiando con le diverse normative internazionali sul diritto d'autore. Amareggiato segnala che «le registrazioni effettuate prima del 1972 non sono più coperte da copyright e tuttavia non possono essere messe nel pubblico dominio negli Stati Uniti fino al 2067!». E questo anche per i brani che non hanno più alcun interesse commerciale per le majors, ma che tuttavia rappresentano un patrimonio musicale dell'umanità.

Per parte sua la British Library ha cominciato a archiviare anche i materiali solo elettronici, come posta elettronica e pagine web, grazie a una modifica legislativa. L'archivio farà un'opera di selezione sui circa tre milioni di siti con il suffisso inglese (.uk).

E infine, questione attualissima, il Social Forum europeo che si svolge a Parigi dal 12 al 15 novembre: per l'occasione gli allievi della scuola per operatori dell'informazione (École des métiers de l'information-CFD) hanno creato un'agenzia «effimera» di fotogiornalismo chiamata Alterphoto che metterà gratuitamente a disposizione dei media indipendenti i materiali prodotti. In parallelo c'è, sempre a Parigi, Métallos Medialab, spazio di sperimentazione e discussione per i media indipendenti, analogamente a quanto avvenuto in precedenza al Forum di Firenze.

La sensazione (o la speranza?) è che malgrado le spinte sempre più nette all'appropriazione e commercializzazione delle idee, siano in atto, su molti fronti, robusti anticorpi. E forse non sono soltanto anticorpi di reazione, ma una voglia di libertà accresciuta e dilagante, se non altro perché l'imbragamento delle idee nei brevetti e nel copyright, sta facendo danno a tutti, anche alle imprese dell'innovazione. Il più recente rapporto emesso dalla Ftc, l'agenzia governativa americana per il commercio, segnala quanto dannoso e frenante sia il sistema dei brevetti software per lo sviluppo stesso dell'economia. Il titolo, come si suol dire, parla da solo: «Promuovere l'innovazione: un equilibrio appropriato tra competizione, politica e leggi sui brevetti».

 

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