Patrimonio idrico a rischio, ma privatizzare non serve

La Relazione annuale presentata in parlamento illustra dati allarmanti: diminuzione della risorsa acqua, sprechi e scarsi investimenti i mali principali
29 luglio 2006
Walter Mancini
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

Una situazione in fase di progressivo peggioramento che rischia di compromettere, in tempi non particolarmente lunghi, l’esigenza fondamentale di lasciare un patrimonio (idrico) sufficiente alle future generazioni. Questo è senz’altro il passaggio più allarmante della Relazione annuale sui servizi idrici presentata mercoledì scorso in Parlamento. Dal testo emerge chiaramente come l’acqua rischi di non essere più una risorsa certa per gli italiani, che dovranno vedersela con crisi idriche sempre più frequenti e prolungate.
Nell’ultimo decennio, infatti, in Italia le piogge sono diminuite del 10% e ciò ha significato, per molti dei principali bacini idrografici del Paese, una riduzione anche del 20% della portata. La relazione cita i casi dei principali fiumi italiani e segnala come la portata di Adige e Tevere abbia registrato un decremento superiore al 25%, il Flumendosa addirittura del 35% e l’Arno del 45%.

I maggiori problemi sono concentrati nel Nord dove nel luglio 2005 la portata del fiume Po è stata di 341 metri cubi al secondo mentre nei dieci anni precedenti la portata nello stesso mese era più del doppio con 990 metri cubi/secondo. Stessa cosa per il bacino dell’Adige.

Oltre ai problemi legati alla siccità vanno aggiunti altri due altri fattori. Il primo è il consumo pro-capite di acqua con circa 740 metri cubi all’anno per abitante, contro una media europea di 612 e l’eccessivo sfruttamento di acqua di falda e di sorgente che in Italia è pari al 23%, dieci punti percentuali sopra la media europea. Paradossalmente siamo anche il Paese che ha il maggior consumo in Europa di acqua minerale (182 litri l’anno a persona). Il secondo fattore è relativo allo stato obsoleto delle reti e degli impianti, causa principale di perdite e quindi di spreco di acqua potabile pari al 40%.

Questi alcuni dei drammatici dati tecnici contenuti nella Relazione che ha evidenziato anche la scarsità di investimenti pubblici nel settore idrico pari a 850 milioni di euro (il 22,7% degli investimenti necessari).

Qui immancabile è subentrata l’analisi politica e ideologica, ripresa in maniera chiara dal Sole 24 ore di giovedì, che titolava “Serve cultura di impresa per gestire la scarsità d’acqua”. Il ragionamento è sempre lo stesso. Per far fronte alla penuria di capitali per investimenti nel settore idrico l’unica strada possibile è l’ingresso nella gestione di partner privati. Affermazione smentita dalla oggettività della situazione in moltissimi ambiti territoriali ottimali italiani, dove l’ingresso di soci privati non ha significato né maggiori investimenti, né miglioramento del servizio ma considerevoli aumenti tariffari. Il caso di Arezzo, tra gli altri, è lì a dimostrarlo.

E’ indubbio che il settore idrico faccia gola a molti, visto che, per esempio, in Italia il giro di affari intorno all’acqua nel primo semestre 2006 ha avuto un incremento del 62%, pari a 3,8 miliardi di euro, mentre gli altri segmenti di mercato, come per esempio l’edilizia, registrano una diminuzione di oltre il 50%.

Stesso trend si registra a livello globale. Basta infatti dare un’occhiata al Bloomberg World Water Index, il più importante listino dei valori delle imprese idriche operanti in borsa. Dal listino emerge come il settore idrico abbia registrato nel periodo 2003-2006 un rendimento particolarmente elevato con il 35% degli utili, rispetto al 29% del petrolio e al 27% del gas.

L’impegno oggi è liberare l’acqua dalle logiche di mercato oltre che salvaguardarla e tutelarla per gli “invisibili”, cioè le future generazioni, un impegno questo che è al tempo stesso politico, finanziario e culturale. Politico e culturale perché veramente strategico e di ampio respiro in grado anche di parlarci di un altro modo di concepire non solo i rapporti umani ma anche un’altra economia basata sulla non mercificazione dei beni comuni.

Finanziario in quanto l’unica vera grande opera necessaria oggi è l’ammodernamento delle condotte e delle reti del servizio idrico.

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