Acqua, la lunga mano della finanza
Ho partecipato la settimana scorsa a Roma ad un incontro sull'industria idrica italiana, organizzato dall'Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno nel corso del quale l'Associazione ha presentato i risultati di una interessante ricerca da essa condotta sullo stato, i problemi e le prospettive dell'industria idrica in Italia. All'incontro sono intervenuti numerosi responsabili (presidenti, amministratori delegati, direttori generali) fra i più importanti gestori dell'acqua italiani.
Dall'incontro è emersa la conferma di una tendenza forte in questo campo: il ruolo crescente e determinante dei soggetti finanziari. Più che di soggetti di natura industriale, pubblici o privati, «l'industria» idrica sta diventando il terreno di intervento di attori finanziari (banche, fondi d'investimento, operatori multiutilities,..) i quali, naturalmente, operano secondo logiche finanziarie. La cultura dell'acqua, dopo essere stata orientata negli ultimi trenta anni da logiche commerciali ed industriali sotto l'influenza delle grandi imprese idriche multinazionali francesi ed inglesi, è ora in maniera crescente pervasa da logiche finanziarie.
Non è stata pertanto una sorpresa costatare che la quasi totalità degli interventi di presentazione dei risultati della ricerca e di quelli programmati abbiano focalizzato l'attenzione dell'incontro principalmente sulle «questioni» degli investimenti e della tariffa, insistendo in particolare su tre aspetti chiave da cui , secondo gli intervenuti, dipenderebbero il presente ed il futuro dell'industria idrica: affidabilità (del Piano economico-finanziario delle imprese), garanzia (del corretto funzionamento del mercato e della concorrenza, ivi compresa la garanzia della proprietà del capitale) e redditività. Una parola è ritornata frequentemente sulle labbra degli oratori: appetibilità . Per attirare gli investimenti ed articolare una tariffa economicamente corretta, è stato affermato che il servizio idrico di una città, di una regione, di una paese deve essere appetibile per il capitale privato.
Niente appetibilità, niente capitali, salvo dipendere (oh orrore, hanno fatto trapelare gli interventi) dal denaro pubblico via la fiscalità. L'indice di appetibilità sarebbe una buona misura dell'efficacia di una politica industriale aziendale.
E' interessante notare che proprio in questi giorni è stato pubblicato il Bloomberg World Water Index, che insieme al Msci Water Index è il più importante listino dei valori delle imprese operanti in borsa nel settore idrico. Dal Bloomberg Index delle 10 più importanti imprese idriche del mondo emerge che il settore idrico ha registrato negli ultimi tre anni (dal 2003) un rendimento particolarmente elevato del 35% in confronto al 29 % per il petrolio ed il gas ed al 27% per le 239 imprese incluse nel Bloomberg World Basic Materials ( rame, alluminio, acciaio, carta..). Il successo finanziario delle imprese operanti nel settore dell'acqua è confermato dai risultati dei due principali fondi d'investimento internazionali unicamente dedicati all'acqua che sono il Water Fund della banca svizzera privata Pictet, creato nel 2000 con sede nel Lussemburgo e che oggi gestisce 2,9 miliardi di dollari Usa per investimenti nell'acqua, ed il fondo belga Smci creato nel 2005.
I risultati di questi fondi sono particolarmente allettanti per coloro che vi hanno investito. Pictet annuncia un rendimento dell'8% annuo netto fino al 2020. Un altro fondo, molto più modesto - di 50 milioni di dollari creato anch'esso nel 2005, il Terrapin's Water Fund di New York ha dato un rendimento del 22%. Il tutto fa dire ad una moltitudine di analisti finanziari e grandi imprese che l'acqua è destinata , fra pochi anni, a diventare un bene economico, una merce, avente un valore più elevato del petrolio. «Vi è una sola direzione per quanto riguarda il prezzo dell'acqua , dicono, quella all'aumento».
Alla luce di quanto detto, non sono stato sorpreso di intendere dire nel corso dell'incontro citato due altre cose interessanti. La prima è che vi sono importanti soggetti del settore «industriale» e finanziario italiano che stanno studiando come favorire un ulteriore raggruppamento delle imprese idriche emiliane, lombardi,liguri e piemontesi nella prospettiva della costituzione di un grande conglomerato idrico multiutilities «padano» capace di competere con i colossi francesi, inglesi e tedeschi nella lotta per la conquista dei mercati occidentali e, in particolare, della grande Asia (Cina, India) e dell'Asia minore. In questa stessa logica, sembrerebbe anche che si stiano muovendo passi miranti a favorire un riordino accorpato dell'industria idrica pugliese, lucana, calabra e campana considerata troppo frammentata e di piccole dimensioni. A questo proposito la seconda cosa interessante detta a Roma è che per certuni l'Acquedotto Pugliese costituisce una specie di «pecora nera» nel paesaggio idrico italiano attuale perché avrebbe scelto la via della ripubblicizzazione. Non è la prima volta che il capitale finanziario si erge a giudice del buon corso e dei comportamenti considerati «devianti». In una democrazia, però, la storia mostra che tocca ai cittadini decidere sulla scelta della giusta strada e non ai mercati finanziari.
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