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Elezioni in Mozambico: il duello tra Renamo e Frelimo nel destino di un paese poverissimo

1 dicembre 2004
Giordano Segneri (Rappresentante paese e Capo Progetto per l’Ong Alisei in Mozambico sul progetto triennale “Programme for the Strengthening of Democratic Culture, Human Rights and Freedom of Expression in Mozambique”.)

Dopo un’accesa campagna elettorale, oggi, 1° Dicembre, si è giungi alle elezioni.
Il Mozambico vede affrontarsi la Renamo-Uniao Electoral e il Frelimo, come principali avversari di un intensa crociata alla caccia di voti, che ha visto i candidati in lizza per la presidenza stringere mani in ogni angolo del paese, a Maputo così come nei villaggi più irraggiungibili oltre le caldissime steppe battute dal sole australe. Alle loro teste, rispettivamente i leader Dhlakama e Guebuza, dopo che il presidente uscente Chissano rinuncia alla propria ricandidatura.
Dopo la guerra di liberazione anticolonialista contro i portoghesi, queste due fazioni (oggi costituite in partiti), si sono duramente osteggiate per 15 anni di guerra civile, fino a firmare, dopo 27 mesi di estenuante negoziazione, quei famosi accordi di Roma, che hanno decretato la cosiddetta “formula italiana” di multitrack diplomacy, dove prima dei mediatori e dei diplomatici di professione, la Comunità di Sant’Egidio, con l’appoggio dell’allora Governo Italiano e l’intermediazioni di figure religiose mozambicane, hanno permesso la pace nel 1992.
Oggi i vecchi nemici sono avversari politici, e questo non senza contenziosi. Accuse reciproche fioccano, così come qualche dilemma ancora irrisolto relativo agli impegni firmati in quei famosi accordi di pace dalla Frelimo, sempre al potere nel dopoguerra.
Intanto in questo poverissimo paese africano, dove la durata della vita media è ad oggi di 38 anni, camion, pick-up e pulmini improvvisati carichi di gente che sventola poster con i volti sorridenti dei candidati, corrono allegramente facendo propaganda elettorale per l’uno e per l’altro.
La televisione nazionale mozambicana ha dato molto spazio alle diverse anime di questa campagna, così come tutta la stampa nazionale, ma questo paese resta pur sempre al 71° posto nella graduatoria mondiale di Reporter senza Frontiere sulla libertà di stampa.
I confronto è aperto, tra programmi elettorali populisti che tentano di fare breccia tra una popolazione in larga maggioranza analfabeta, povera, e dove l’Aids continua la mattanza prima dovuta alle armi.
A Maputo, questa capitale dalle accecanti contraddizioni, dove grattacieli di una Manhattan per pochi fanno ombra alle capanne di molti, si parla di elezioni, nei caffè e per strada: e qui, più che nei comizi, non ci si può esimere dal restare bloccati in auto in mezzo a questi cortei di camion strombazzanti nella polvere, carichi di giovani pagati per urlare la propria fede per l’uno o l’altro dei candidati.
Un po’ più su, invece, nei piani alti, c’è chi teme di perdere, con una eventuale vittoria della Renamo, i propri interessi consolidati con una classe dirigente astuta e capace di sapersi riciclare da sostenitrice del socialismo rivoluzionario alla libera impresa e alle privatizzazioni.
Si è arrivati a queste elezioni in maniera farraginosa, con un altro duello: quello tra la Comunità Europea ed il governo al potere, in particolare sulla richiesta degli osservatori elettorali della CE di poter assistere all’ultima e decisiva fase dello spoglio. Questo nodo non è stato ancora completamente risolto, il governo si appella ad una presunta anticostituzionalità.
E sono elezioni politicamente importanti sia per la stabilità dell’area, che per dinamiche internazionali, basti pensare al numero e alla tipologia di osservatori: oltre alla CE, abbiamo gli statunitensi con 111 osservatori, la fondazione Carter con 55, il Commonwealth con 15, l’Unione Africana con 10, il SADC con 63, il PNUD con 32, l’EISA con 36. L’Italia, il Congo, l’Angola, il Sudafrica, il Giappone, la Tanzania, la Nigeria, e altri paesi ancora accrediteranno i propri.
A farsi strada tra l’elettorato, intanto, anche il PDD, con a capo Domingos, un protagonista degli accordi di pace del 1992, ed uscito dalla Renamo, oltre che ad un’altra ventina di partiti minori di varia ispirazione.
Nelle dieci regioni di questo vasto paese intanto si aspetta, a bocca aperta, non senza qualche scaramuccia tra i diversi sostenitori, non senza qualche lancio di pietre e di bottiglie.
E si spera. In Mozambico si spera di avere un pozzo, si sperano i farmaci retrovirali, si spera di poter mandare i propri figli a scuola. Si spera in un cambiamento che forse non avverrà dal turno elettorale, ma dal riuscire a varcare il confine per l’eldorado sudafricano.
E tra i tanti che s’impegnano in questa terra, tra funzionari diligenti e coraggiosi e una timida società civile, anche diverse Ong italiane. Tra loro, da dieci anni, l’Ong italiana Alisei, che come altre, cerca di contribuire ad uno sviluppo giusto di questa terra, attraverso programmi che aiutino i contadini, o che difendano il diritto alla salute, a prevenire e lottare contro la piaga dell’Aids. Non ultimo un progetto finanziato proprio dalla CE, che mira a proteggere la libertà di stampa e di espressione, attraverso un sostegno alla stampa indipendente e la divulgazione dei diritti umani. Un contributo questo, per dare forza al principio secondo cui lo sviluppo di una popolazione non può essere unicamente valutato in parametri economici, ma che questi, semmai, vanno accompagnati dalla consapevolezza che la via del miglioramento è prima di tutto la via della giustizia e dei diritti.
Il futuro elettorale sembra un incognita. Gli osservatori europei intanto intervistano i candidati, girano per i seggi, scrutano i media. Ed il Mozambico aspetta, ma indipendentemente dal risultato delle urne, per la maggioranza della popolazione un vero cambiamento potrà solo essere lento e difficile: la povertà non si estirpa con le promesse elettorali, ma con volontà radicali, con scelte politiche coraggiose e dovute a chi soffre da tempo diversi flagelli, che si susseguono in un destino che necessità di essere soverchiato.

Note: Info: alisei.moz@teledata.mz

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“Negoziare la fine della il prima possibile”: 69%.
Gli ucraini che vogliono combattere fino alla sono diventati una minoranza: 24%.

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Aldo Capitini

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