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IRAQ: Geografia pericolosa.

13 maggio 2004
Derek Gregory - trad. Patrizia Messinese
Fonte: Fonte: Znet

Di chi la responsabilità?

Suppongo che lo shock e l'orrore che hanno accolto le notizie degli abusi compiuti su prigionieri iracheni da parte di militari americani ed inglesi sia ben diverso dallo
"shock and awe", il "colpisci e terrorizza" degli inizi. L'ipocrisia è, però,la stessa.
"Shock and awe", colpisci e terrorizza, significava voler combattere la guerra al terrore per mezzo del terrore stesso. Lo scopo dei massicci bombardamenti su Bagdad era quello, non solo di scoraggiare la Guardia repubblicana e quei poveri, giovani, disgraziati che facevano parte del resto dell'esercito iracheno, ma anche di incutere paura al popolo iracheno in generale, lo stesso popolo col quale Bush e Blair continuavano a dichiarare di non aver nessun problema.
A questo punto verrebbe da chiedersi che cosa mai avrebbero fatto se col popolo
iracheno qualche problema l'avessero avuto, anche se quello che è successo a Falluja e Najaf dovrebbe darcene un'idea.

Intanto, politici e generali (entrambi diventati ormai bravissimi a parlare l'"orwelliano", l'esperanto del nuovo ordine mondiale) insistono nel dire che i militari
colpevoli di quelle infamie sarebbero solo una sparuta minoranza. Eppure sono gli stessi politici e generali che hanno scatenato questa guerra partendo dal presupposto che i loro avversari fossero degli esseri sub-umani. C'è quindi da meravigliarsi se qualcuno dei loro soldati li ha presi in parola? Per quanto in malafede questa parola fosse?

I ragazzini che si divertono a fare i bulletti, i prepotenti, quando rimproverati
assumono spesso quell'atteggiamento di sfida tipo "...si, si..dite pure quello che
volete, tanto sono solo parole.. mi entrano da un orecchio e mi escono dall'altro...". Le loro vittime però, da sempre, sanno che questo non è vero: le parole hanno una straordinaria e terribile capacità di ferire. Nel corso di questa "guerra al terrore" portata avanti dagli USA, il modo in cui le parole sono state usate si applica perfettamente agli schemi definiti da Edward Said "le geografie dell'immaginario".
Questo concetto rappresenta la volontà di sottolineare le differenze tra 'noi' e 'loro',
trasformando la differenza in distanza, in modo che 'loro' possano apparire non solo diversi da noi, ma anche e soprattutto il contrario di 'noi'.

Per quanto immaginarie, queste intepretazioni non sono mai semplici fantasie. In realtà hanno una certa consistenza, una certa forza.
Dall'11 settembre tre tipi di 'geografie dell'immaginario' sono stati particolarmente
rilevanti.
La prima sarebbe la "localizzazione", cioè il ridurre i posti e le persone che stai per
bombardare a semplici obbiettivi, a parole su una mappa, oppure coordinate su un monitor.
Missili piovono su K-A-B-U-L, a 34.51861N, 69.15222E e non sulla città di Kabul, già sventrata, devastata e terrorizzata da anni di guerra incessante. Le pagine dei giornali sono tappezzate da foto aeree di Bagdad con gli obbiettivi segnati da cerchietti e aggiornate quotidianamente (specialmente sulle pagine web). Solo quando la città "cade" (o si pensa sia "caduta") allora gli stessi giornali pubblicano mappe di una città che all'improvviso, come per magia, si scopre avere vie e quartieri abitati, non da tiranni, torturatori e terroristi come ci si sarebbe aspettato, ma da semplici uomini e donne, come voi e me.

La seconda è la "contrapposizione", cioè il ridurre i complessi meccanismi che hanno portato alla violenza politica ad una contrapposizione tra la Civiltà (sempre con quella imperiosa lettera iniziale maiuscola e che quasi sempre viene intesa come una rappresentazione degli Stati Uniti, civiltà universale per eccellenza) e gli altri, i selvaggi, i barbari.
E' uno dei pochi trucchetti che Bush ha imparato alla perfezione: chiunque in Iraq si opponga all'occupazione militare ed alla repressione nel loro paese, viene dichiarato un nemico della libertà. E' lo stesso trucchetto che Ariel Sharon e molti dei suoi predecessori hanno usato per anni: i Palestinesi sono terroristi, tutti quanti, barbari, destinati all'inferno per aver saccheggiato le oasi della Civiltà, cioè lo Stato di Israele, e che combattono per la liberazione della "Giudea e della Samaria" (i territori occupati), non perché sia la loro terra, ma perché sono, nello specifico, delle non-persone. (Il colmo viene raggiunto grottescamente nel recente articolo di Thomas Friedman sul New York Times "Ci sono per caso degli iracheni in Iraq?" I veri iracheni, a sentir lui, non si sarebbero mai opposti ad una occupazione militare che avesse portato loro la 'liberazione'. Forse adesso starà scrivendo il secondo articolo "C'erano per caso dei nativi americani in nord America?")

Ci vuole poco poi per arrivare alla terza, ed ancora più estrema, geografia dell'immaginario: "l'allontanamento". Semplicemente perché queste non-persone devono essere collocate al di fuori degli steccati della Modernità, ognuno di loro, non solo i combattenti, ma anche i civili ed i profughi ai quali vengono negate la protezione e le possibilità che dovrebbero essere invece garantite loro dal diritto internazionale.
Anche in questo caso Sharon ed i suoi predecessori hanno spianato la strada: se ne sono infischiati delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU e della Convenzione di Ginevra, riuscendo così a trasferire illegalmente centinaia di migliaia di coloni israeliani nei territori occupati. Hanno imposto logoranti punizioni collettive alla popolazione palestinese in generale e commesso uccisioni indiscriminate. Bush ha imparato bene la lezione. Sia le leggi internazionali che quelle nazionali sono state sospese in modo che ' i guerrieri nemici' potessero essere trasferiti a Guantanamo, presumibilmente al di fuori di qualsiasi giurisdizione, oppure consegnati a regimi compiacenti perché potessero essere torturati. Le forze della coalizione sostengono di non tenere il conto delle 'loro' vittime, ma solo delle 'nostre' (anche se, se sei americano, non dovresti saperlo). Si rifiutano di calcolare il numero dei soldati o dei civili rimasti uccisi durante l'occupazione dell'Afghanistan e dell'Iraq. E' difficile non arrivare alla conclusione che le loro morti non vengono contate perché non vengono considerate rilevanti, quello che il filosofo italiano Giorgio Agamben chiama 'homines sacri', i detriti, umani solo per metà, della Guerra Santa di Bush.

Visto il quadro della situazione, c'è poi da meravigliarsi se in Iraq alcuni soldati
americani o inglesi hanno umiliato e compiuto abusi sui propri prigionieri? Avranno
anche disonorato la tradizione delle uniformi che indossavano, ma quello che hanno fatto è stato semplicemente agire in conformità alla mentalità e alle direttive morali impartite dai loro signori e padroni politici.

Note: "Derek Gregory è docente di geografia presso l'Università della Britich Columbia a
Vancouver. E' l'autore di "The colonial present: Afghanistan, Palesatine, Iraq" (Il
presente coloniale: l'Afganistan, la Palestina e l'Iraq) che verrà pubblicato il 27
maggio dalla casa editrice Blackwell.

http://www.zmag.org/content/showarticle.cfm?SectionID=15&ItemID=5453

traduzione di Patrizia Messinese a cura di Peacelink

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