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L’eredità della Shoa? I diritti umani. Compresi quelli ai palestinesi

18 marzo 2007
Pietro Andrea Annicelli

«Mi auguro che il presidente Katsav, se sarà riconosciuto colpevole, finisca in prigione per quarant’anni!». Non rischia fraintendimenti Hagit Back, militante di Matchsom Watch. È ospite, insieme a vari relatori internazionali, ai Seminari di Marzo, in corso in Puglia organizzati dal Laboratorio Poiesis, diretto da Giuseppe Goffredo, sul pensare femminile contemporaneo. Il capo dello Stato d’Israele è incriminato per reati sessuali contro quattro donne che hanno lavorato alle sue dipendenze. A fine gennaio Moshe Katsav si è autosospeso. Per la Knesset, il parlamento israeliano, non è stato sufficiente: è avviata la procedura d’impeachment. «L’atteggiamento attribuito a Katsav è molto diffuso ai livelli più alti della società israeliana» denuncia Hagit Back. «È un aspetto della violenza della vita quotidiana, conseguenza della tensione e del malessere. Nell’ultimo anno, trenta donne israeliane sono state ammazzate dai loro mariti».
Matchsom Watch è un’associazione di circa quattrocento donne, tutte israeliane, che fa capo a tre storiche militanti: Ronnee Jaeger, Adi Kuntsman, Yehudit Keshet. Verifica il comportamento dei soldati di Tsahal, l’esercito israeliano, ai check point di confine con i territori palestinesi. Hagit Back è amica del rabbino Arik Ascherman, dell’associazione Rabbis for Human Rights che da anni organizza i pacifisti israeliani in gruppi che proteggono i villaggi palestinesi dalle angherie dei coloni fondamentalisti. Al tavolo con Somaya Alshurafa e Mohammed Abusharekh dell’Afkar Society for Improving & Developing Youth Abilities, il centro palestinese per bambini traumatizzati di Gaza che Abusharekh dirige, l’atteggiamento della militante ricorda gli studenti ebrei americani che si battevano per i diritti civili dei negri ai tempi di Martin Luther King. «Quella israeliana è oggi una società razzista: perché, se io e un mio amico arabo abbiamo gli stessi documenti, io sono lasciata passare ai posti di blocco e lui è fermato? Ha ragione chi pensa che Israele oggi assomiglia al Sud Africa dell’apartheid. L’eredità della Shoa sono i diritti umani: non c’è diritto per Israele a esistere se non dà lo stesso diritto ai palestinesi».
Somaya e Mohammed le stringono la mano con complicità. «Tra noi e gli israeliani non ci sono problemi nelle relazioni personali: il problema è politico» spiegano. «I nostri bambini hanno un carico di violenza enorme», rileva Abusharekh, che è psicologo. «È una conseguenza dell’occupazione, della guerra e delle privazioni che subiamo, ma anche della maniera in cui sono educati da Hamas. Li abituano a una mentalità chiusa, ad avere come scopo la guerra, la vendetta. Quando noi ce ne prendiamo cura, occorrono una quindicina d’anni per rendere consapevole un ragazzo che non sono quelli i veri valori dell’esistenza. L’occupazione porta a una tensione altissima all’interno d’una realtà come Gaza. Ragazzi con qualità personali e artistiche non sanno più cosa fare, dove andare. Non credono più a nulla». Hagit Back è d’accordo. «Un ragazzo israeliano che non ha futuro in Israele può comunque emigrare in Australia, in Sud America. Un ragazzo palestinese non ha alcun posto dove andare», rileva. «Le barriere messe dai soldati israeliani gli impediscono di spostarsi. Ogni giorno è costretto a stare dov’è. Un visto per l’Egitto è un miraggio».
Somaya Alshurafa, che è poetessa, usa l’arte e il lavoro d’abilità manuale per la riabilitazione. Si abituano i bambini traumatizzati a vivere la loro età attraverso attività specifiche che allontanino il loro pensiero dall’aggressività. È un po’ come far ritornare bambini i bambini soldato. «Abbiamo programmi per i ragazzi dai nove ai dodici anni con attività di disegno, di artigianato. Il problema è nelle famiglie. Vi sono molte armi in giro. Quando tra un marito e una moglie c’è un litigio, è facile che si spari. Anche nella vita quotidiana le armi sono uno strumento abituale nei conflitti. L’esibizione della forza che dà il possesso di un’arma fornisce dei modelli che restano impressi nella mente dei bambini. È complicato abituarli a comportamenti non aggressivi». Hagit, Somaya e Mohammed, mentre escono dal ristorante per fumare insieme, sono d’accordo: la volontà della gente di buon senso, da entrambe le parti, non basta più.

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