Conflitti

Dare occhi al mondo: ricordando Anna Politkovskaja

Daniele Barbieri
Fonte: www.carta.org - 10 febbraio 2007

Cecenia degli orrori: non si sa o non si vuole sapere? Perché l'omertà si allarga dalla Russia a tutti gli altri Paesi? Qual è il modo migliore per continuare il lavoro coraggioso di Anna Politkovskaja? La giornalista russa è stata assassinata 5 mesi fa da un sicario: il 7 ottobre 2006, quasi un regalo di compleanno per il presidente Vladimir Putin che era - con il generale Ramzan Kadyrov - il principale oggetto delle sue continue denunce.

Sabato 10 febbraio le Donne in nero hanno organizzato a Bologna un'intera «Giornata per Anna Politkovskaja»; andando su htpp://babs.altervista.org/donneinnero.htm si trova il programma completo.

L'intensissima giornata inizia al mattino nel Palazzo D'accursio con Patricia Tough. Poi subito alcune pagine da Cecenia, disonore russo [Fandango editore] lette da Sara Nanni dove Anna Politkovskaja racconta di essere stata picchiata, intimidita, minacciata, messa in un buca perché «faccio il mio lavoro di giornalista».

«In qualsiasi circostanza rompere il silenzio sulla Cecenia è una scelta importante, per questo sono felice di essere qui» è l'esordio di Francesca Sforza. Racconta la sua esperienza lì, come inviata del quotidiano La Stampa, per due volte anche da clandestina, perché i giornalisti embedded servono a ben poco. «Si rischia in guerra ma anche quando vai via» perché hai visto troppo: «la Cecenia ti segue con le sue storie terribili e continua a minacciarti». Anna Politkovskaja è stata uccisa lontano da lì ma quasi certamente la sua colpa si chiamava Cecenia. In astratto - ragiona Sforza - si può criticare lo stile appassionato, «quasi missionario» della Politkovskaja ma in circostanze simili come altrimenti fare informazione onesta? «Il male profondo di questo Paese è aver fatto saltare tutte le relazioni umane, ormai non c'entra più la politica o la religione [...] è come se fosse stato fatto un elettrochoc a un intero popolo». A guerra ufficialmente finita la Cecenia è un Paese chiuso e distrutto. Un popolo intero che vive nel terrore. E' cruda la testimonianza della Sforza. Racconta di Groznyj - che un tempo aveva tutto - senza neppure l'acqua. Una guerra civile: la Russia è sempre presente ma sta a guardare, «è stata abile a tirarsi fuori» e a mettere i clan uno contro l'altro. Un Paese dove violenze e rapimenti non s'interrompono più. L'unica organizzazione - Memoriale - che in Cecenia si batte per difendere i diritti umani quando riesce a raccogliere le denunce è comunque costretta a pubblicarle anonime.

Oltre a essere docente universitaria a Firenze, Elena Dundovich è una delle fondatrici della sezione italiana di Memoriale che nacque negli anni '80 in Urss come istituto di ricerca sulle vittime dello stalinismo ma oggi è l'unica organizzazione per la difesa dei diritti umani presente in quasi tutti i Paesi dell'Est europeo. La sua ricostruzione storica aiuta a comprendere come nacquero le due guerre cecene. «Per capire cosa è accaduto bisogna leggere La Russia di Putin [in italiano da Adelphi] dove Anna Politkovskaja spiega come è fallita ogni transizione democratica». Nel '94 temendo forse un effetto-domino o per distrarre l'attenzione dalla situazione economica disastrosa e dalla mancanza di un progetto, Eltisn - presidente della Federazione russa - manda le truppe contro la Cecenia che, ormai da tre anni, si è proclamata indipendente. La prima guerra cecena si trascina per un paio d'anni. Ma le frontiere non sono blindate, gli orrori delle truppe russe vengono raccontati e così l'opinione pubblica si mobilita costringendo Eltsin a un armistizio. Mentre in Russia il potere passa a Putin, in Cecenia si rafforza il fondamentalismo islamico con mire espansioniste su alcuni piccoli Stati confinanti. Iniziano anche gli attentati terroristici, attribuiti ai ceceni, in Russia: c'è chi insinua che dietro ci siano i servizi segreti di Putin. Come che sia è un ottimo pretesto per la seconda guerra che inizia nel '99. Ma stavolta l'intero Paese è come murato, i media blindati. «E' inquietante dirlo ma ora i russi appoggiano la guerra»: Putin resuscita «l'orgoglio nazionale», ripete «siamo ancora una grande potenza» e in un Paese allo sfascio è vissuto come un uomo d'ordine. In ogni caso Putin estende il suo controllo sui media. In uno dei pochi giornali rimasti indipendenti - e che per questo pagherà un altissimo prezzo di sangue - la Novaja Gazeta, lavora Anna Politkovskaja. Lei è fra quelle che pensa esserci i servizi segreti russi dietro molti attentati attribuiti ai ceceni. Oggi la guerra appare finita. In un ambiguo referendum ha vinto la fazione filo-Mosca. Ma la popolazione resta vittima di violenze da ogni parte e il muro di silenzio resta altissimo.

«Ricordarla è anche interrogarsi sul tipo di giornalismo che vogliamo in Russia e altrove. Darle voce significa raccontare il mondo che non vediamo, come scrisse Giovanni De Mauro sul settimanale L'Internazionale» avverte Roberta Freudiani, traduttrice della ricerca Le fidanzate di Allah [manifesto libri] di Julia Juziki. Parla di alcuni suoi scritti ancora non tradotti, della sua idea che si poteva usare l'informazione per difendere la legalità, per combattere l'indifferenza. Politkovskaja scelse di stare dalla parte delle vittime, di cercare i ragazzi che scomparivano in Cecenia. Non era contro Putin per ideologia ma contro il cinismo, il razzismo, i morti, le bugie. «Un bandito» lo definiva. Dopo arresti, denunce, una fucilazione simulata, botte, un tentativo di avvelenamento che l'aveva portata a un passo dalla morte, cinque mesi fa Anna Politkovskaja è uccisa. Il suo omicidio è in relazione con la ricerca della verità che lei perseguiva. Per questo bisogna continuare il suo lavoro, non ci si può permettere di avere paura.

Prima che inizi il dibattito, Francesca Esposito [della scuola di musica Ivan Illich] accompagnata dal Trio Moka canta «On ni vernuslia iz poja» - Dal fronte non è più tornato - i versi clandestini, ma popolarissimi in Russia nonostante la censura, di Vladimir Visotskji contro la guerra.

Molte le domande. Le più semplici - e difficili - sono quelle sul «e noi cosa possiamo fare?». In sala si raccolgono firme sulle petizioni di Amnesty. Uno degli intervenuti spiega che c'è un blog [il riferimento è matteobloggatorussia@blogspot.com] dove è possibile leggere la traduzione degli articoli della Novaja Gazeta. Il ricatto che Putin agita in faccia all'Europa si chiama gas. Eppure - ricorda una ragazza - qualcuno chiede conto alla Russia di quel che accade in Cecenia. Lo ha fatto di recente anche un capo di governo, Angela Merkel: non è più brava o meglio informata ma si muove così per la grande pressione dell'opinione pubblica tedesca. E' possibile anche da noi. L'invito di Patricia è che in Italia il movimento contro la guerra rompa il tabù. Intanto «molte piccole cose si possono fare» suggeriscono Giorgia Bottani [haistan@tiscali.it] e poi Elena Murdaca del Comitato per la pace nel Caucaso [cpc_italia@yahoo.it] anche garantendo a studenti ceceni di studiare in Italia - e a Bolzano, Roma, Parigi già lo si fa - oppure, come ad Arezzo, aiutando l'incontro fra i giovani di popoli che dovrebbero essere nemici.

Serve a qualcosa denunciare? Parlando a Mantova, a quella domanda Anna Politkovskaja rispose all'incirca così: «Voi da qui non potete fare qualcosa di risolutivo ma parlare è sempre importante». Conoscere la verità non è solo un diritto, è anche un dovere. E nel libro «Proibito parlare» - un'antologia dei suoi scritti, appena uscita negli Oscar Mondadori - viene ricordata una sua frase: «La cosa più importante è continuare a fare il mio lavoro, raccontare quello che vedo».

Questa è la cronaca soltanto della mattinata: nel pomeriggio e in serata a Bologna si è parlato ancora di Cecenia e di continuare il «lavoro» di Anna Politkovskaja, in Russia e qui. Grazie a Lucia Manassi di Radio Città del capo e a Sara Sartori di Radio Fujiko, conduttrici della giornata, nei prossimi giorni troverete su questo sito altre notizie e materiali della giornata bolognese. E le Donne in nero preparano un libretto. Ma una giornata come questa ha un valore ancora maggiore se viene imitata, se in altre città si parlerà di Anna Politkovskaja, si romperà il tabù sulla Cecenia.

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