Conflitti

il commento

Lo spartiacque afghano della Nato

9 dicembre 2006
Francesco Martone
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

«Senza tanti squilli di tromba - e senza tanto clamore - la Nato è diventata globale (...) in questo processo sta estendendo sia il suo ambito territoriale che la tipologia delle sue operazioni», così commentano Ivo Daalder e James Goldfinger nel loro articolo «Global Nato», pubblicato sull'ultimo numero di Foreign Affairs. Accantonato l'ambizioso compito di ridiscutere il concetto strategico approvato a Washington nel 1999, a Riga l'Alleanza opta per un allargamento graduale, «incrementale», fino a divenire organizzazione di portata globale, non solo militare ma anche civile e politica. Così facendo decide di trasformarsi in un'istituzione-ameba, ridefinendo in itinere la propria missione istituzionale.
L'istinto di sopravvivenza porta l'Alleanza ad anteporre, in una missione che rischia di essere suicida, alla teoria la pratica e poi da quella desumere le conseguenze politiche. Per questo l'Afghanistan diventa lo spartiacque tra sopravvivenza ed irrilevanza. In questo spazio angusto il governo Prodi ha provato a giocare le sue carte. A Riga l'Italia ha presentato la propria proposta di Conferenza internazionale sull'Afghanistan, certamente non ottenendo un impegno verso una soluzione di continuità nella strategia. I riferimenti all'urgenza di non limitarsi ad un approccio puramente militare, sembrano più giustificati dal desiderio della Nato di mostrare le sue molteplici facce, da quella civile a quella politica, mentre la logica predominante resta quella delle armi.
Così la discussione sulle regole d'ingaggio ha visto l'Italia tenere duro sul dispiegamento di truppe a Sud, accettando - seppur con grandi limitazioni - la possibilità di uno spostamento di militari in caso di emergenza.
L'insistenza sulla formula civile-militare creerà qualche difficoltà nel rivedere la partecipazione italiana al Prt di Herat. Di un ritiro in tempi brevi non si tratta, mentre si potrebbe prospettare un cambiamento nella configurazione operativa, ed un rafforzamento delle attività dette di Ssr (Security Sector Reform) campo nel quale si potrebbe ricucire un rapporto ancora difficile tra Nato ed Unione europea. Con l'attenzione di tutti rivolta verso l'Afghanistan, Jaap de Hoop Scheffer ha potuto continuare a tessere la sua tela, quella di «un'Alleanza globale con partner globali», ampliandone i cerchi concentrici. Si allarga la Partnership for Peace con l'accesso di nuovi stati dell'Europa orientale, e si rafforza la cooperazione con Australia, Giappone, i paesi del Medio Oriente e del Mediterraneo. S'irrobustisce la capacità di intervenire «out of area», con l'acquisto e la gestione collettiva di alcuni aerei da trasporto Globemaster, non solo a scopo militare, ma anche per dare una maggior capacità alla Nato negli interventi di emergenza di tipo «umanitario» come già avvenuto in Pakistan, o in occasione dell'uragano Katrina. Si discute addirittura di sicurezza energetica, intendendo però non la necessità di liberarsi dal giogo dei combustibili fossili, bensì quella di prevedere l'uso di forze d'intervento rapido in caso di minacce a gasdotti, oleodotti o rotte di transito di greggio. Attraverso l'estensione geografica, l'Alleanza ridefinisce il suo mandato e la sua legittimità, entrando in rotta di collisione con altre organizzazioni internazionali. Francis Fukuyama si è spinto fino a proporre che la Nato si sostituisca all'Onu come autentica alleanza delle democrazie. Non a caso il presidente francese Chirac ha rimarcato il rischio di un conflitto di attribuzioni con l'Onu, una mossa tattica per riaffermare la sua resistenza ai piani statunitensi di allargamento dell'Alleanza in un Partenariato Globale Permanente. Meglio, secondo Parigi, una versione «light» della coalizione dei volenterosi da contrapporre al «multilateralismo» selettivo del nuovo corso dell'amministrazione Bush. Nel gioco delle parti si cambiano le carte, si rimescolano i gettoni, si fanno nuovi azzardi, si accetta il rischio di perdere la partita decisiva. Quella che si gioca tra le montagne del sud dell'Afghanistan e che a Riga la Nato ha deciso di continuare, a prescindere da tutto e da tutti.

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