Conflitti

Uccideteli! Uccidete tutti! Tutti!

9 dicembre 2006
Uri Avnery (Scrittore israeliano e attivista pacifista di Gush Shalom.)
Tradotto da per PeaceLink
Fonte: www.zmag.org - 28 novembre 2006

Durante la prima guerra del Libano, sono stato a Jounieh, una città a circa 20km a nord di Beirut. A quell’epoca era usata come porto per le forze cristiane. Era una serata eccitante.

Nonostante la guerra stesse imperversando nella vicina Beirut, Jounieh era piena di vita. L’elite cristiana aveva passato la giornata sulla marina assolata, le donne in bikini, gli uomini a sorseggiare whisky. Noi tre (io e altre due giovani donne della mia redazione, una corrispondente e una fotografa) eravamo gli unici israeliani in città, e così ci facevano festa. Tutti ci invitavano nei loro yacht, e una ricca coppia insistette che andassimo a casa loro come ospiti per una ricorrenza familiare.

Era qualcosa di davvero speciale. Le decine di parenti appartenevano alla crema dell’elite, ricchi commercianti, un pittore ben conosciuto, diversi professori universitari. I drink scorrevano come acqua, anche la conversazione risuonava in varie lingue.

Verso mezzanotte, tutti erano leggermente ubriachi. Gli uomini mi coinvolsero in una conversazione “politica”. Sapevano che ero israeliano, ma non avevano idea delle mie opinioni.

“Perché non vai a Beirut Ovest?” mi chiese un corpulento gentleman. Beirut ovest era in mano alle forze dell’OLP di Arafat, che difendevano centinaia di migliaia di abitanti Sunniti.

“Perché? A che scopo?” domandai.

“Che vuoi dire? Per ucciderli! Ucciderli tutti!”.

“Tutti? Anche le donne e i bambini?”

“Naturalmente! Tutti!”

Per un attimo, ho pensato che stesse scherzando. Ma le facce degli uomini che erano intorno a lui mi dicevano che era serissimo e che tutti erano d’accordo con lui.

In quel momento capii che questo paese meraviglioso, ricco di storia, benedetto da tutti i piaceri della vita, è malato. Molto, molto malato.

Il giorno successivo andai davvero a Beirut ovest, ma con uno scopo ben diverso. Attraversai le linee di confine per incontrare Yasser Arafat.

(Ad ogni modo, alla fine della festa a Jounieh i miei ospiti mi diedero anche un regalo di addio: un grosso pacchetto di hashish. L’indomani tornando in Israele, dopo che Arafat aveva reso pubblico il nostro incontro, sentii alla radio che 4 ministri chiedevano che io fossi processato per tradimento. Mi ricordai dell’hashish e la feci volare via dal finestrino della macchina).

***
Mi ricordo di quella conversazione a Jounieh ogni volta che in Libano succede qualcosa. Questa settimana per esempio.

Sono state dette e scritte molte cose insensate su quel paese, come se fosse un paese come qualsiasi altro. George W. Bush parla di “democrazia libanese” come se qualcosa del genere esistesse, altri parlano di “maggioranza parlamentare” e “fazioni minoritarie”, e del bisogno di “unità nazionale” per mantenere “l’indipendenza nazionale”, come se stessero parlando dell’Olanda o della Finlandia. Tutte queste cose non hanno nulla a che fare con la realtà libanese.

Geograficamente, il Libano è un paese lacerato, e in questo sta una parte del segreto della sua bellezza. Catene montuose coperte di neve, vallate verdi, villaggi pittoreschi, una meravigliosa costa. Ma il Libano è anche lacerato dal punto di vista sociale. Le spaccature sono connesse tra di loro: nel corso della storia, minoranze perseguitate da tutta la regione hanno cercato rifugio tra le sue montagne, dove potevano difendersi.

Risultato: un gran numero di comunità piccole e grandi, pronte a prendere le armi in qualsiasi momento. Al suo meglio, il Libano è una federazione frammentata composta da comunità sospettose l’una verso l’altra; al suo peggio un campo di battaglia di gruppi che si scontrano in faide e che si odiano fino al midollo. Gli annali del Libano sono pieni di guerre civili e terribili massacri. Molte volte, questa o quella comunità ha chiamato nemici stranieri perché li aiutassero contro i loro stessi vicini.

Tra le comunità, non ci sono alleanze permanenti. Un giorno, le comunità A e B si mettono d’accordo per combattere la comunità C. Il giorno dopo B e C combattono contro A. E per di più ci sono sotto-comunità, che più di una volta si sa che si sono alleate con una comunità nemica contro la loro stessa comunità.

Nel complesso si tratta di un mosaico affascinante, ma anche molto pericoloso, ancor di più dato che ogni comunità ha il proprio esercito privato, equipaggiato con le armi migliori. L’esercito ufficiale libanese, composto da uomini di tutte le comunità, è incapace di portare avanti una qualsiasi missione di una certa importanza.

Che cos’è una “comunità” libanese? A guardare bene, è tutta una questione religiosa. Ma non solo religiosa. La comunità è anche una tribù etnica, con alcuni attributi nazionali. Un ebreo può capirlo facilmente, dato che anche gli Ebrei sono una comunità del genere, anche se sono distribuiti in tutto il mondo. Ma per un comune cittadino europeo o americano, è difficile capire questa struttura. E’ più facile pensare a una “nazione Libanese”, una nazione che esiste solo nell’immaginazione o come visione del futuro.

La lealtà alla comunità viene prima di qualsiasi altra forma di lealtà, e certamente prima di qualsiasi lealtà verso il Libano. Quando i diritti di una comunità o sotto-comunità sono minacciati, i suoi membri insorgono tutti uniti per distruggere chi li sta minacciando.

***
Le comunità principali sono i Cristiani, i Musulmani Sunniti, i Musulmani Sciiti e i Drusi (che, per quanto riguarda la religione, sono una specie di estremisti Sciiti). I cristiani sono divisi in diverse sotto-comunità, le più importanti delle quali sono i Maroniti (che prendono il nome da un santo che visse 1600 anni fa circa). I sunniti furono portati in Libano dai governanti Ottomani (Sunniti) per rafforzare il loro potere, e furono collocati principalmente nelle grandi città portuali. I Drusi vennero per trovare rifugio nelle montagne. Gli sciiti, la cui importanza è cresciuta negli ultimi decenni, per molti secoli sono stati una comunità povera e perseguitata, trattati come uno zerbino da tutti gli altri.

Come in quasi tutte le società Arabe, l’Hamula (la famiglia estesa) gioca un ruolo vitale in tutte le comunità.

La lealtà verso l’Hamula viene anche prima della lealtà nei confronti della comunità, secondo l’antico detto arabo: “Con mio cugino contro lo straniero, con mio fratello contro mio cugino”.

Quasi tutti i leader libanesi sono capi di grandi famiglie.

***
Per dare un’idea del groviglio libanese, ecco qualche esempio recente: nella guerra civile che scoppiò nel 1975, Pierre Gemayel, il capo di una famiglia Maronita, chiese ai Siriani di invadere il Libano per aiutarlo contro i suoi vicini sunniti, che stavano per attaccare il suo territorio. Suo nipote, che portava lo stesso nome, e che è stato ucciso questa settimana, era membro di una coalizione il cui scopo è di annullare l’influenza siriana in Libano. I sunniti, che combattevano contro i siriani e i cristiani, sono ora alleati dei cristiani contro i siriani.

La famiglia Gemayel era il principale alleato di Ariel Sharon, quando invase il Libano nel 1982. Lo scopo comune era di scacciare i palestinesi (per lo più sunniti). A questo scopo, gli uomini di Gemayel fecero l’orrendo massacro di Sabra e Shatila, dopo l’assassinio di Bashir Gemayel, zio dell’uomo che è stato assassinato questa settimana. Il massacro fu controllato da Elie Hobeika dai tetti del quartier generale del generale israeliano Amos Yaron. In seguito Hobeika è diventato ministro sotto gli auspici della Siria. Un altro responsabile del massacro è Samir Geagea, l’unico che sia stato processato in una corte libanese. E’ stato condannato a vari ergastoli che in seguito gli sono stati condonati. Questa settimana lui era uno dei principali oratori al funerale di Pierre Gemayel nipote.

Nel 1982 gli Sciiti hanno dato il benvenuto all’esercito israeliano invasore con fiori, riso e dolci. Pochi mesi dopo hanno cominciato una guerriglia contro di loro che è durata 18 anni, nel corso della quale Hezbollah è diventata una delle forze principali in Libano.

Uno dei leader maroniti nella lotta contro i siriani era il generale Michel Aoun, che fu eletto presidente dai maroniti e in seguito cacciato. Ora è un alleato di Hezbollah, il principale aiutante della Siria.

Tutto questo somiglia all’Italia del Rinascimento o alla Germania della Guerra dei Trent’anni. Ma per il Libano questo è il presente e anche il prossimo futuro.

In una realtà del genere, usare la parola “democrazia” è ovviamente una presa in giro. In base ad un accordo, il governo del paese è diviso tra le comunità. Il presidente è sempre un Maronita, il primo ministro un Sunnita, il portavoce del parlamento uno Sciita. Lo stesso vale per tutte le altre posizioni nel paese, a tutti i livelli: un membro di una comunità non può aspirare a una posizione adatta alle sue capacità se questa “appartiene” ad un’altra comunità. Quasi tutti i cittadini votano in base alle affiliazioni familiari. Un elettore Druso per esempio, non ha chance di spodestare Walid Jumblat, la cui famiglia domina la comunità drusa da almeno 500 anni (e il cui padre fu assassinato dai siriani). Lui dispensa tutte le posizioni che “appartengono” alla sua comunità.

Il parlamento libanese è un senato di capi comunità, che si dividono il bottino tra loro. La “coalizione democratica” che è stata messa al potere dagli americani dopo l’uccisione del primo ministro sunnita Rafik Hariri, è un’alleanza temporanea dei capi maronita, sunnita e druso. L’”opposizione”, che gode della protezione siriana, è composta da sciiti e da una fazione maronita. La situazione può rovesciarsi in un attimo, quando altre alleanze saranno formate.

Hezbollah, che appare agli israeliani come un’estensione dell’Iran e della Siria, è prima di tutto un movimento sciita che lotta per ottenere per la sua comunità in Libano una fetta di potere più ampia di quanto le sia invece dovuta in base alla sua grandezza. Hassan Nasrallah, che è anche un discendente di un’importante famiglia, ha messo gli occhi sul governo di Beirut, non sulle moschee di Gerusalemme.

Che cosa ci dice tutto questo sulla situazione attuale?

Per decenni ormai, Israele ha rimescolato la situazione in Libano. In passato, ha appoggiato la famiglia Gemayel ma è stata amaramente disillusa: le “Falangi” della famiglia (il nome è stato preso dalla Spagna Fascista, che era molto ammirata dal nonno Pierre), nella guerra del 1982 si sono rivelati una banda di esagitati senza valore militare. Ma il coinvolgimento israeliano in Libano continua a tutt’oggi. Lo scopo è eliminare Hezbollah, eliminare i siriani e minacciare la vicina Damasco. Tutti questi obiettivi sono senza speranza.

Un po’ di storia: negli anni Trenta, quando i maroniti erano la forza principale in Libano, il Patriarca maronita espresse aperta simpatia per l’impresa Sionista. A quel tempo, molti giovani di Tel Aviv e Haifa studiavano nell’Università Americana di Beirut, e dalla Palestina ricchi ebrei andavano a passare le loro vacanze nei resort libanesi. Una volta, prima della costituzione di Israele, ho attraversato il confine libanese per sbaglio e un gendarme libanese gentilmente mi mostrò la via del ritorno.

Durante i primi anni di Israele, il confine israeliano era il solo ad essere pacifico. In quei giorni c’era un detto: “Il Libano sarà il secondo paese arabo a fare la pace con Israele. Non oserà essere il primo.” Solo nel 1970, quando il Re Hussein scacciò l’OLP dalla Giordania in Libano, con l’aiuto attivo di Israele, questo confine divenne caldo. Ora anche Fuad Siniora, il primo ministro messo dagli americani, si sente in dovere di dichiarare che “il Libano sarà l’ultimo Stato arabo a fare la pace con Israele!”.

Tutti gli sforzi di eliminare l’influenza siriana dal Libano sono destinati a fallire. Per capire questo, è sufficiente guardare una cartina.

Storicamente il Libano è parte della Siria (“Sham” in arabo). I siriani non si sono mai rassegnati al fatto che il regime coloniale francese abbia strappato il Libano dalla sua stessa terra.

Le conclusioni:

Primo, non rimaniamo impantanati nel caos libanese di nuovo. Come l’esperienza ha mostrato, ne usciremo sempre sconfitti. Secondo, per avere la pace sul nostro confine settentrionale, tutti i nemici potenziali, prima di tutto la Siria, devono essere coinvolti.

Significato: dobbiamo restituire le Alture del Golan.

L’amministrazione Bush impedisce al nostro governo di parlare con i siriani. Vogliono parlare loro stessi con loro, quando sarà il momento. E’ molto probabile che offriranno loro il Golan in cambio di aiuto da parte della Siria in Iraq. Se è così, non dovremmo sbrigarci e “vendere” loro il Golan (che comunque gli appartiene) ad un prezzo migliore per noi stessi?

Ultimamente si sono sentite voci, anche da militari anziani, che suggeriscono questa possibilità. Dovrebbe essere detto in maniera chiara e forte: a causa di poche migliaia di coloni e di politici che non osano affrontarli, rischiamo di essere trascinati in altre guerre ancora più inutili mettendo a rischio la popolazione di Israele.

Questa è la terza conclusione: c’è un solo modo di vincere una guerra in Libano, cioè evitarla.

Note: Il link al testo originale in lingua inglese:
http://www.zmag.org/content/showarticle.cfm?SectionID=107&ItemID=11508

Tradotto da Paola Merciai per www.peacelink.it
Il testo e' liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la
fonte, l'autore e il traduttore.

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