Conflitti

Non c’é altra scelta che vivere insieme

Per uscire dall'attuale situazione di impasse, si fa strada la coraggiosa proposta, da parte di un gruppo di palestinesi e israeliani, di istituire uno Stato unico per Palestina e Israele, senza discriminazioni culturali e religiose.
23 novembre 2006
Ali Abunimah (Ali Abunimah è un Palestinese-americano, è autore di “Uno Stato unico: una proposta coraggiosa per porre fine al conflitto israelo-palestinese”)
Tradotto da per PeaceLink
Fonte: Chicago Tribune
www.zmag.org - 17 novembre 2006

La scorsa settimana, mentre guardavo le immagini di distruzione dalla Striscia di Gaza, dove un raid di bombardamento israeliano aveva ucciso un’intera famiglia, potevo comprendere, come palestinese, i sentimenti di uno dei sopravissuti che diceva “non posso prefigurarmi un giorno in cui vivremo in pace con loro”. Ma so anche che non c’è alternativa.

Quando venne costituito lo Stato d’Israele, i suoi fondatori dissero che sarebbe stato un paese esemplare, morale. Per molti ebrei questo sembrò una redenzione miracolosa dopo così tanta sofferenza e tante perdite umane dovute all’Olocausto nazista.

I palestinesi hanno sperimentato una realtà diversa. Israele diventò uno “Stato Ebreo” in un paese che era sempre stato multiculturale e multireligioso. L’espulsione e l’esclusione dei palestinesi dalla loro stessa patria ha portato israeliani e palestinesi ad un interminabile incubo di non riconoscimento reciproco e di spargimento di sangue.

Per decenni era stato di comune buon senso considerare che questo conflitto potesse essere risolto soltanto suddividendo il paese in due stati. Tuttavia, nonostante gli enormi sforzi politici e diplomatici per ottenere questo risultato, i due popoli rimangono completamente, anche se malauguratamente, intrecciati. Il piano di Israele di impiantare degli insediamenti di coloni all’interno dei territori, nei quali i palestinesi volevano creare uno stato, ha reso impossibile questa separazione.

Allo stesso tempo, Israele si trova in un dilemma. Per la prima volta da quando lo stato venne fondato, gli ebrei israeliani non costituiscono più una maggioranza assoluta nel territorio che controllano. Attualmente, ci sono quasi 5 milioni di ebrei e 5 milioni di palestinesi che vivono nello stesso territorio. Le dinamiche sono incontestabili. Entro pochi anni, i palestinesi formeranno una netta maggioranza.

Il Primo Ministro israeliano, Ehud Olmert, già nel 2003 ravvisava cosa poteva significare tutto ciò: “Ci stiamo avvicinando al punto in cui sempre più palestinesi diranno: ‘non c’è posto per due stati ’ in questo paese, e ‘tutto ciò che vogliamo è il diritto di votare’. Il giorno che lo otterranno, noi perderemo tutto.” Mettendo in guardia sul fatto che Israele non potrebbe rimanere sia stato ebraico che democrazia, se non molla tutti i territori palestinesi occupati, Olmert aggiungeva: “Rabbrividisco al pensiero che le organizzazioni ebree liberali, che hanno portato sulle spalle il fardello della lotta contro la discriminazione e segregazione razziale, condurranno la battaglia contro di noi.”

Alcuni estremisti israeliani, come il Vice Primo Ministro Avigdor Lieberman, ritengono che questo “problema demografico” possa essere risolto semplicemente espellendo i non-ebrei. La soluzione scelta da Israele, denominata “separazione unilaterale”, mura i palestinesi in ghetti depauperati, che gli stessi palestinesi paragonano alle townships e comunità Bantu, istituite per i neri dal governo di segregazione razziale sudafricano. Il risultato di questa strategia, come vediamo a Gaza, è di creare maggiore disperazione, resistenza e sfida e, sicuramente, disastro per entrambi i popoli.

La soluzione a due stati rimane attraente e confortante nella sua apparente semplicità e finalità. Ma, in realtà, si è rivelata irraggiungibile, in quanto nè i palestinesi nè gli israeliani sono disposti a cedere quanto basta del paese che amano. Messo di fronte a questa impasse, un piccolo ma crescente gruppo di israeliani e palestinesi sta esplorando, per fare un tentativo, una vecchia idea, da tempo latente: Perché non avere uno stato singolo, nel quale entrambi i popoli godano pari diritti e protezioni e libertà di religione? Molte persone la respingono come fantasticheria utopica.

Allister Sparks, il leggendario editore del quotidiano anti-apartheid Rand Daily Mail, ha osservato che il conflitto in Sud Africa somigliava per lo più a quelli in Irlanda del Nord e in Israele-Palestina, in quanto ciascuno coinvolgeva “due etnonazionalismi” in una rivalità, apparentemente inconciliabile, per lo “stesso pezzo di territorio”. Se la prospettiva di “uno stato laico condiviso da tutti” sembra “impensabile” in un’odierna nazione Palestina-Israele, diventa quindi possibile comprendere come, una volta, una tale soluzione in Sud Africa sembrasse inverosimile. Ma “quello è ciò che abbiamo fatto” afferma Sparks “senza alcun negoziatore straniero, né strette di mano sul prato della Casa Bianca”.

A dire il vero, palestinesi ed israeliani non sarebbero proprio capaci di prendere il nuovo Sud Africa a modello. Dovrebbero elaborare una loro costituzione distinta, che includa meccanismi affinché le comunità etniche abbiano autonomia nelle questioni che le riguardano e che garantisca che nessun gruppo possa dominarne un altro. Ci sarebbe un duro lavoro da fare per guarire le ferite terribili del passato. Una tale soluzione offre la possibilità che lo stato Palestina-Israele possa diventare, per la prima volta, la patria veramente sicura, in cui israeliani e palestinesi possano accettarsi reciprocamente. Può essere un cammino arduo, ma nell’attuale situazione senza via d’uscita, non possiamo permetterci di trascurare nessun raggio di luce.

Note: Link al testo originale in inglese:
http://www.zmag.org/content/print_article.cfm?itemID=11438§ionID=107

Tradotto da Antonella Serio per www.peacelink.it
Il testo e' liberamente utilizzabile, per scopi non commerciali, citando la fonte (Associazione PeaceLink), l'autore ed il traduttore.

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