Conflitti

La paura arriva a Kabul

La guerra è ormai per le strade della capitale e secondo la Nato presto sarà ancora peggioUn paese senza speranze «Dopo il sesto attentato suicida dal primo settembre, con 41 morti e 105 feriti, per affrontare la paura non è stato più possibile il silenzio...»
5 ottobre 2006
Ricardo Grassi
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Oggi a Kabul, dove fino ad un mese fa si respirava un'atmosfera relativamente calma, c'è soprattutto paura.
Tutto è avvenuto lentamente e in modo sotterraneo. Dopo il sesto attentato suicida dal primo settembre, tre esplosioni che hanno ucciso 41 persone e ne hanno ferite 105 tra soldati e passanti, per affrontare la paura non è stato più possibile il silenzio ma è diventato necessario gestirla insieme agli altri. «Sapete, ogni mattina devo attraversare la città per andare al lavoro - ci dice Rahimullah Samander uno dei più bravi e preparati giornalisti afghani, fondatore di un'associazione nazionale indipendente dei giornalisti afghani- Non sai mai se e quando ti potrà accadere». Appena due ore prima - erano le 7,55 di sabato trenta settembre - un attentatore suicida talebano si era fatto saltare in aria davanti ai cancelli del Ministero degli interni uccidendo quattro soldati afghani, otto civili e ferendone altri 42.
Un'esplosione fortissima che tutti noi abbiamo sentito distintamente ad oltre dieci isolati di distanza mente ci stavamo preparando ad andare al lavoro. Alle 8,20 avrei dovuto recarmi proprio davanti al ministero, nel palazzo dove si trova la «Pajhwok Afghan News», la prima agenzia indipendente afghana. Alle 8,05 il suo direttore, Danish Karokhel, mi ha telefonato per dirmi quel che era successo e annullare l'appuntamento.
Una storia persa o piuttosto una vita salvata?
Non lo sapremo mai. Se lo sapessimo non usciremmo più di casa per attraversare l'intera città. In ogni caso visto che i talebani vogliono colpire i soldati almeno cerchiamo di tenerci alla larga dai militari. Il portavoce dell'esercito Usa, colonnello Tom Collins ci disse due settimane fa che ci dovrebbe essere «almeno» una cellula di attentatori suicidi che opera a Kabul con l'obiettivo di colpire le truppe straniere. «Che possiamo fare? Guardate qui» ci disse indicando il traffico congestionato di Kabul.
Mir Rohullah Sadat è il grafico e disegnatore del «The Killid Group», una società che ha due settimanali nazionali e due stazioni radio a Kabul e nella provincia di Herat. Quando l'ho incontrato sarebbe dovuto andare il sabato e la domenica successiva ad una tipografia a Pul e Charki, un villaggio a 20 chilometri da Kabul, per controllare la qualità di un numero della rivista sui diritti umani in Afghanistan. «E' pericoloso» ci disse. La strada tra Kabul e Jalalabad è stata colpita tre volte questo mese e negli attentati sono stati uccisi un soldato britannico e quattro civili mentre sono stati feriti due ingegneri Usa, tre soldati britannici e sette afghani. «Che puoi fare?» gli chiediamo. «Niente, devo andare» ci ha risposto Rohullah.
Egli è ancora giovane ma ricorda i combattimenti per la conquista di Kabul tra l'Alleanza del nord di Ahmad Massoud e i talebani. Dieci anni fa, la più feroce battaglia della guerra civile che seguì la sconfitta dell'armata rossa nel 1989. I talebani conquistarono la città il 26 settembre del 1996. «Fu una battaglia terribile ci dice Rohulla - anche se in uno scontro aperto puoi sapere cosa fare. Non come oggi con gli attentati suicidi e le bombe». Sarebbe stato fortunato ancora una volta. Il quarto attentato suicida sulla strada Kabul-Jalalabad avrebbe avuto luogo il giorno dopo, lunedì due ottobre e aveva avuto come obiettivo un convoglio Nato. Un secondo attentatore suicida è stato fermato prima di far esplodere la carica di esplosivo che portava con sé.
Il 20 settembre, The Killid Group e la Ips-Interpress Service insieme ad altre tre organizzazioni locali avrebbero dovuto inaugurare il «Primo Forum Internazionale -Media è sviluppo - dei media afghani e della società civile». Gli organizzatori hanno però deciso di rimandare il tutto dopo l'ennesima autobomba che ha ucciso due soldati Usa e 14 passanti afghani nella Grande Piazza Massoud nella tranquilla mattina di venerdì otto settembre. «Non si tratta di un fatto isolato, né di un qualcosa legato all'anniversario dell'uccisione di Massoud e quindi ci aspettiamo che questo trend continui» ci ha comunicato il Comando della Nato. Massoud fu ucciso il 9 settembre del 2001 da due presunti membri di al Qaida presentatisi come giornalisti televisivi e con una potente bomba nella loro telecamera, due giorni esatti prima degli attacchi alle torri Gemelle di New York e al Pentagono a Washington.
Il 19 settembre, i 70 invitati internazionali e locali al Forum sarebbero arrivati a Kabul. E proprio quel giorno la città è stata sconvolta da altre tre esplosioni.
Cosa succederà? Negli anni passati la neve dell'inverno ha portato una certa calma ma fonti militari e delle Nazioni unite sostengono che quest'anno potrebbe andare diversamente. La guerra aperta che infuria ormai nel sud si trasformerà in ulteriori azioni terroristiche nelle città, soprattutto nella capitale Kabul. Secondo la definizione necessaria per dare un quadro all'intervento internazionale quello afghano sarebbe un paese in una fase «post-guerra». «Lo abbiamo sperato» ci dice sorridendo amaro Samander. Il più rilevante sforzo per descrivere la realtà afghana è stato quello del comandante della Nato, generale David Richards. L'ultimo giorno di luglio, appena arrivato, Richards sostenne che i talebani non sono terroristi ma «insurgents». Dieci giorni fa intervistato dal britannico «Channel Four» ha sostenuto che per sconfiggere i talebani sarà necessaria una campagna di non meno di tre-cinque anni. Lo sciogliersi di ogni speranza e il percepire da parte della popolazione locale gli stranieri come degli invasori vanno sempre più di pari passo. Gli afghani cominciano a pensare chi uscirà vincitore dal conflitto. Quarantunomila soldati Usa e della Nato fanno sentire forte la voce della «guerra al terrorismo» mentre non si vede alcun piano politico capace di guidare un paese che tra la guerra, la corruzione e il narco-business comincia a mostrare segni di disintegrazione.
Alle tre di questa mattina le sirene della polizia hanno rotto il silenzio della notte. Poco dopo i muezzin avrebbero chiamato alla preghiera e alla colazione del mattino. E' Ramadan ed entrambe devono precedere l'alba. Altre dodici famiglie stavano piangendo la morte dei loro cari uccisi quella mattina.

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