Nepal: un abisso dei diritti umani
Kathmandu, 22 Giugno 2005 - Recenti stime calcolano che più dell’80% del territorio è controllato dai maoisti. L’esercito ribelle esige tasse in tutti i villaggi. Mandano un bambino con un biglietto in cui si invita a pagare una certa somma con un’ora ed una data in cui ci si deve presentare. Anche nelle zone controllate dai militari i maoisti riescono a gestire parallelamente la situazione. La minaccia in caso si facciano domande è quella di bruciare le case. Sono ormai all’ordine del giorno le rapine alle banche che ormai cercano di tenere meno liquidità possibile: il danno economico che queste rapine comportano inizia ad essere davvero ingente.
Il governo intanto continua a tagliare le comunicazioni. Mentre non tutti i servizi di telefonia mobile sono stati riattivati, alcuni cittadini si ritrovano dall’oggi al domani a non avere più linea telefonica mobile. Si fa capire chiaramente all’interessato di esser sospettato di complicità maoista e gli si blocca il cellulare: non c’è bisogno di lettere o comunicazioni ufficiali, la linea è semplicemente tagliata. Molti avvocati, giornalisti e operatori sociali sono stati privati del servizio. Nei villaggi, invece, dove c’è un telefono ogni 100 abitanti, a volte anche meno, i militari tagliano tutte le linee, con lo scopo di bloccare le comunicazioni tra i ribelli, ma con il risultato di isolare sempre più la popolazione e farla vivere nel terrore.
Dopo l’esplosione dell’autobus di civili su una mina anticarro piazzata dai moisti su una strada vicino Kathmandu ai primi di giugno in cui sono morte decine di persone, i militari preferiscono viaggiare in abiti civili in piccoli mezzi privati. In tutti i posti di blocco, quindi, i passanti sono costretti a far salire in macchina uno o due soldati e dar loro un passaggio. Questo comporta per loro un enorme rischio dato che non sono infrequenti i posti di blocco maoisti, a poca distanza da quelli militari.
La settimana scorsa una manifestazione di giornalisti per richiedere la libertà di stampa si è risolta nell’arresto di una cinquantina di dimostranti. Le manifestazioni conseguenti, il giorno dopo, hanno portato ad ulteriori arresti. Ogni manifestazione si risolve in un sempre più cruento scontro tra dimostranti e militari e in una sempre più lunga serie di arresti.
Delle operazioni degli osservatori dell’ONU i media non parlano e notizie non arrivano, è ufficiale invece che la ICRC ha sospeso temporaneamente le visite negli ospedali militari affermando che l’esercito sta violando tutti i principi fondamentali dei trattati sui diritti umani e ignora la distinzione giuridica tra belligeranti e civili
Il distretto di Jhapa si trova nel Nepal orientale, a pochi chilometri dal confine con l’India. Il clima è davvero torrido, ben 45 gradi al nostro arrivo all’aeroporto, il paesaggio è completamente diverso da Kathmandu, essendo una vasta pianura popolata da gente che vive solo di agricoltura e pastorizia in case di fango e paglia. Il villaggio di Chaitubadi dista 40 minuti in macchina dall’aeroporto di Badrapur, centro commerciale da cui transita la maggior parte del commercio con l’India. Appena arrivate siamo state accolte da tutte le donne dei gruppi che ci aspettavano per inaugurare il nuovo Centro Donna: cerimonia con candele di buon augurio, tika e fiori a volontà. Da questa settimana il Centro Donna di Jhapa è ufficialmente aperto!!! Nei due giorni a Jhapa abbiamo parlato con molte donne appartenenti ai gruppi di risparmio e condiviso con loro le difficoltà incontrate nello svolgimento dell’attività a causa della comunità, ancora non pronta a vedere donne attive e indipendenti e a causa della situazione politica, sempre più precaria. Il Centro Donna è frequentato da donne che lavorano nei campi e che organizzano sovente corsi informali di agricoltura per tutte le donne del villaggio. La loro sfida consiste nel convincere le nuove generazioni a non fuggire dal villaggio per le grandi città, ma restare e sfruttare le risorse che il distretto offre. Una donna, al nostro arrivo ci ha raccontato di essere stata picchiata dal marito per anni e poi essere stata abbandonata per un’altra donna più giovane. Lui tornava di tanto in tanto per rubarle il cibo e picchiarla. Disperata, ha incontrato quindi le donne del gruppo che hanno parlato con l’uomo e gli hanno fatto firmare (con le impronte del pollice) un pezzo di carta in cui lui si impegnava a lasciarla stare e a non tornare più altrimenti sarebbe andato in galera. Effettivamente l’uomo non è più tornato, convinto che il foglio avesse valore legale! Ora la donna vive con suo figlio in una casa fatta con le loro mani grazie anche all’aiuto delle donne del gruppo.
A 7 ore di macchina da Jhapa, il distretto di Panchtar si presenta completamente diverso. Fidim, centro principale del distretto, è collegato con il resto del Nepal da un’unica strada, asfaltata solo in parte: si capisce, quindi, come sia possibile che durante i monsoni il distretto non sia raggiungibile da nessun veicolo. La città di Fidim è la sede della principale base militare nell’area. Apparentemente questo dovrebbe dare sicurezza, in realtà fa sentire la popolazione un più facile bersaglio dei maoisti. Il Centro Donna è attivo da un mese, le donne, in tutto una novantina, raggiungono periodicamente la sede camminando per ore dai loro villaggi. Molte sono impegnate nella pastorizia, ma alcune, a differenza di Jhapa, hanno attività commerciali. Con loro, purtroppo abbiamo condiviso solo una giornata dato che ha iniziato a piovere e la strada stava diventando impercorribile. Jog Maya è la presidente del Centro Donna, ha 29 anni e non è sposata. Questo non fa piacere a suo padre che più volte ha cercato di costringerla a sposarsi. Ha terminato i suoi studi e si dedica completamente al Centro, ma ha dovuto lottare con i genitori e per più di una volta è stata cacciata di casa, suo padre non sopportava l’idea che non volesse sposarsi. Oggi anche la mamma, un tempo alleata del padre, è membro di uno dei gruppi di risparmio. In famiglia anche i fratelli minori sostengono le attività del centro e a suo padre non è restato altro che accettare la realtà, anche se ancora non si può dire sia diventato un sostenitore.
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Gli inglesi hanno dei dubbi sul #GCAP
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