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Congolesi in fuga dalle milizie ribelli

Repubblica Democratica del Congo. Nuovo esodo interno.

Circa seimila persone hanno abbandonato la zona orientale del Sud Kivu a causa dei ripetuti attacchi delle milizie formate dai ribelli Hutu ruandesi.
7 giugno 2005
Ottavio Pirelli

Migliaia di congolesi in fuga nel Sud Kivu
Congo R.D.
Scritto da Ottavio Pirelli

mercoledì, 01 giugno 2005 16:46
Sono migliaia i profughi in fuga dalle zone interne della provincia del Sud Kivu, nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo. Le Nazioni Unite riferiscono di circa 6000 persone, per lo più donne e bambini, sfollate dai villaggi alla ricerca di protezione dagli attacchi dei miliziani che infestano la zona.

Vengono così confermate da fonti ufficiali le voci che segnalavano, dopo la strage di Nindja della scorsa settimana, grossi movimenti di civili verso luoghi più sicuri. Secondo quanto riportato dall’agenzia Reuters, Rachel Scott Leflaive, portavoce dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Interventi Umanitari, ha dichiarato che sono oltre 1280 le famiglie giunte in cerca di protezione a Ihembe, 80 chilometri a nord-ovest di Bukavu. Si tratta appunto di 6000 persone, cui sono stati distribuiti subito generi di prima necessità, come coperte e cibo.

L’esodo è l’effetto della crescente instabilità dovuta alla presenza nella zona di milizie, formate in prevalenza da ribelli Hutu del vicino Ruanda, dedite a rapine ed uccisioni, come testimonia un recente rapporto stilato dalla Missione delle Nazioni Unite in Congo (MONUC).
Negli ultimi tempi, in particolare, si sono moltiplicati i rapimenti a scopo di estorsione. Prima del massacro di dieci giorni fa, in cui 18 civili sono stati uccisi e 50 sequestrati, altre 20 persone erano state rapite, sempre a Nindja. Per la loro liberazione i guerriglieri avevano chiesto 2.000 dollari di riscatto. E’ ciò che ha affermato a IRIN Didas Kaningini, governatore provvisorio della provincia, aggiungendo poi che la maggior parte degli ostaggi è riuscita a scappare prima del pagamento.

Una regione fuori controllo

Sono 140 i peacekeepers pachistani inviati a Walungu dal MONUC, con il compito di vigilare sull’incolumità dei civili e di riportare l’ordine nella regione. Un tentativo che sembrava aver convinto i rifugiati a tornare alle loro case, ma che presto si è dimostrato poco efficace, visto che i guerriglieri pianificano ora le loro incursioni nei villaggi più lontani dal presidio, dove le truppe delle Nazioni Unite non riescono a garantire la propria presenza.

Non è facile porre un freno alla situazione in cui versano le regioni orientali del Congo. Nelle fitte foreste, appena all’interno del confine, hanno trovato rifugio circa dieci mila ribelli Hutu, dopo il genocidio in Ruanda che nel 1994 ha portato all’uccisione di centinaia di migliaia di Tutsi ed Hutu moderati. Secondo quanto riportato da IRIN, Fernando Castanon, capo della sezione per i diritti umani del MONUC, ha affermato che i numerosissimi casi di violenza nella zona sono da imputare a due gruppi di miliziani. Il primo è costituito dalle Forze Ruandesi Democratiche per la Liberazione (FRDL), mentre il secondo prende il nome di Rastas, una milizia formata, oltre che da ribelli Hutu, anche da guerriglieri congolesi.

Le notizie sui rapporti tra le due formazioni militari sono spesso poco chiare, se non addirittura contraddittorie. L’agenzia Reuters ha riportato recentemente, in un lungo resoconto sulla situazione del Congo firmato da David Lewis, le dichiarazioni di Ignace Murwanashyaka, l’autodichiarato leader del FRDL, secondo le quali il gruppo che egli rappresenta in Congo non ha compiuto nessuna violenza; le incursioni sono invece da imputare ai Rastas. Questi ultimi, però, sono in parte formati da membri delle Forze Ruandesi: è ciò che sostengono molte fonti locali, oltre le stesse Nazioni Unite. Black Balagize, capo della comunità di rifugiati a Walungu, ha dichiarato, sempre nel citato rapporto della Reuters, la propria convinzione che i Rastas vengano utilizzati per compiere il 'lavoro sporco', ma che siano parte integrante del FRDL, cui consegnerebbero il denaro che riescono a estorcere con la violenza.

Quali che siano stati i rapporti tra le due milizie, gli osservatori internazionali presenti nell’est del paese africano affermano che l’FRDL oggi si stia scontrando con i Rastas. Il motivo, secondo fonti militari del MONUC riportate dall’agenzia AP, sarebbe da ricercare nel tentativo del Fronte di dissociarsi dal gruppo e di ripulire la propria immagine, in vista di possibili negoziati per l’abbandono della lotta armata.

Il braccio di ferro tra FRDL e il Presidende Paul Kagame

Il leader dei guerriglieri Hutu in Congo, Ignace Murwanashyaka, ha firmato il 31 marzo scorso a Roma una dichiarazione in cui si è impegnato a far deporre le armi ai ribelli. Migliaia di uomini dovrebbero tornare in Ruanda e il Fronte dovrebbe trasformarsi in un partito politico di opposizione. Tutto questo nei progetti di Murwanashyaka, che in sostanza chiede la possibilità di uno spazio politico per il suo movimento.

Il Presidente del Ruanda, Paul Kagame, ha affermato, secondo le informazioni diffuse da IRIN, che il suo governo non intende negoziare con i ribelli: i rifugiati Hutu in Congo possono deporre le armi e tornare liberamente nel loro paese. Il Presidente, di etnia Tutsi, non vuole concedere però nessuna protezione a coloro che si sono macchiati di crimini durante il genocidio del 1994. Ritornando in patria, una parte dei ribelli va incontro all’arresto e al giudizio davanti ad un tribunale. Inoltre, Kagame non intende garantire nessun orizzonte politico per il FRDL.

In base alle notizie riportate dall’agenzia Reuters, Murwanashyaka si è inoltrato in maggio nelle foresta congolesi per convincere i suoi miliziani ad abbandonare la lotta armata. Non è un compito facile. Molti combattenti non hanno partecipato al massacro del 1994 e vorrebbero tornare a casa. Ma altri, invece, sanno di non poter rivedere la propria terra, se non attraverso le sbarre delle prigioni in cui verrebbero rinchiusi non appena varcata la frontiera. Questa consapevolezza spinge i capi militari più intransigenti a respingere la proposta di deporre le armi, impedendo a chiunque di lasciare la milizia.

La presenza degli Hutu in Congo è causa di notevole destabilizzazione per tutta l’area. Per ben due volte, nel 1996 e nel 1998, i militari ruandesi e ugandesi hanno occupato queste regioni ricche di materie prime con l’obiettivo di dare la caccia ai ribelli. Ma in entrambi i casi le operazioni non hanno dato alcun risultato. Ora, Kagame minaccia di riportare il suo esercito al di là del confine se il Fronte non dovesse deporre al più presto le armi senza ulteriori condizioni.

La via per la pace passa per il disarmo e per il rimpatrio degli Hutu. Una soluzione che da gennaio è ufficialmente appoggiata dall’Unione Africana, anche se la strada della riconciliazione nazionale tra Hutu e Tutsi appare più che mai lunga ed in salita.

Ottavio Pirelli

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