Conflitti

La mancata protezione del Darfur

Due anni di crisi in Darfur e la situazione umanitaria, politica e le condizioni di sicurezza stanno peggiorando. Continuano a venire commessi crimini atroci, la popolazione sta morendo in gran numero a causa della malnutrizione e delle malattie e incombe una nuova carestia
22 marzo 2005
Fonte: International Crisis Group - www.crisisweb.org


darfur humanitarian crisis Darfur, Sudan (17 Marzo 2005) - La comunità internazionale sta venendo meno al suo dovere di proteggere i civili o perlomeno di indurre il governo sudanese ad agire in tal senso. Al momento Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU sta negoziando una bozza risolutiva che potrebbe condurre ad una soluzione della crisi, se si rivela abbastanza determinata in materia di protezione dei civili e di responsabilità da attribuire a chi ha commesso i crimini atroci.

Se invece le divisioni all’interno del Consiglio e le minacce di veto finiranno per annacquare il risultato finale, come è già successo altre volte, la situazione in Darfur peggiorerà. Probabilmente è solo una questione di tempo e poi il suo veleno andrà ad invalidare anche l’accordo di pace firmato il 9 gennaio 2005 per porre termine alla lunga guerra tra il governo ed il Movimento/Esercito per la Liberazione del Popolo Sudanese (SPLM).

Il Completo Accordo di Pace (CPA) firmato dal governo e dall’ SPLM contiene provvedimenti e modelli che potrebbero offrire la base per una soluzione politica – non solo per il conflitto in Darfur, ma anche per la zona orientale del Sudan dove le condizioni sono esacerbate e destinate a sfociare in un aumento della violenza. Comunque né le sue caratteristiche né la prospettiva di nuovi ruoli, ed infine di nuove politiche, nel governo centrale riuscirà ad avere un impatto immediato sulla situazione in Darfur. Ciò richiederebbe una politica internazionale molto più decisa per capovolgere una situazione che va deteriorandosi.

Khartoum è giunta alla pace con l’ SPLM in parte per stornare la pressione crescente sul Darfur. Finora tale stratagemma ha funzionato. La comunità internazionale si trova profondamente divisa – probabilmente paralizzata – sul da farsi in Darfur. La situazione sul campo mostra una serie di tendenze negative sviluppatesi a partire dall’ultimo periodo del 2004. Infatti le condizioni di sicurezza stanno peggiorando, è verosimile l’avvento di una carestia ed il numero delle vittime civili va aumentando. Il cessate il fuoco è nel pieno caos ed il processo di negoziazione è giunto ad un punto morto. I movimenti dei ribelli iniziano a spaccarsi e nuovi movimenti armati fanno la loro comparsa in Darfur e negli stati vicini. Il caos ed una cultura dell’impunità stanno prendendo piede nella regione.

La Commissione di Inchiesta dell’ONU sul Darfur ha descritto l’ampia portata delle atrocità commesse sul territorio, perpetrate soprattutto dal governo e dai suoi alleati, le milizie Janjaweed. La strategia della “protezione con la presenza” adottata dall’ONU e dall’ Unione Africana (AU), basata sulle forze dell’AU, la cui principale missione consiste nel monitorare il fallito cessate il fuoco, non sta funzionando. Per via del tardivo arrivo delle truppe africane e del supporto logistico occidentale messi a disposizione, l’AU ha meno di 2000 delle 3320 unità di personale autorizzati sul campo. Occorre una forza ben più ampia, aumentata di 4 o 5 volte come richiesto da Jan Egeland, ed un mandato per proteggere i civili.

Ma la chiave per stabilire una situazione di sicurezza consiste nel persuadere il governo a realizzare tutti gli impegni presi per disarmare e neutralizzare le milizie Janjaweed. La testimonianza di quanto è successo anche nell’ultimo anno dimostra che il governo non agirà in tal senso fintantoché continuerà a considerare minimi i costi della sua inazione. Per modificare questo calcolo occorre imporre immediatamente misure punitive mirate, come il blocco dei beni all’estero delle imprese controllate dal partito reggente, il divieto di viaggio imposto agli ufficiali maggiori, un ampio embargo alle armi – ed una realistica possibilità che i crimini atroci documentati dalla Commissione di Inchiesta dell’ONU vengano indagati, perseguitati e giudicati dal solo tribunale in grado di farlo con una certa celerità, il Tribunale Criminale Internazionale (ICC).

Le obiezioni generali mosse dal governo degli Stati Uniti d’America contro questa istituzione non dovrebbero essere di impedimento, tanto più che il tribunale, in questo caso, eserciterebbe la propria giurisdizione esattamente nel modo in cui Washington ha sempre considerato più giusto, ossia tramite una decisione politica presa dal Consiglio di Sicurezza.

Una maggiore pressione deve essere esercitata anche sui ribelli del Darfur affinché essi si attengano ai loro impegni e pongano fine a tutti gli attacchi che violano il cessate il fuoco. I ribelli devono riassumere il controllo sulle forze disseminate al loro interno, punire le violazioni dei diritti umani e risolvere le divergenze interne. Quest’ultima azione può esser condotta grazie ad una serie di conferenze sia al livello della base che a quello dei leader, le quali potrebbero venire supportate dalla comunità internazionale. Se i loro leader continueranno a minacciare la sicurezza, essi dovrebbero anche essere soggetti a sanzioni mirate.

Inoltre la comunità internazionale deve potersi muovere velocemente per rafforzare il processo di pace guidato dall’AU. Questo processo potrebbe perdere il suo mediatore più autorevole e manca di un serio impegno delle parti belligeranti e del tipo di collaborazione di alto livello tra l’AU e la più ampia comunità internazionale che possa garantirne l’efficacia.

Infine, non si deve permettere che l’adempimento del CPA [Accordo Completo di Pace] diventi un pretesto per non fare pressioni per stabilizzare il Darfur. Al contrario, con molta probabilità un eventuale fallimento nel risolvere la crisi del Darfur finirà per minare il CPA stesso. Ora sarebbe un grave errore non esercitare la pressione dovuta su Khartoum.

RACCOMANDAZIONI

Al Consiglio di Sicurezza dell’ONU:

1. Deve approvare una risoluzione sulla situazione in Darfur che:

(a) riconosca che il Governo del Sudan è in violazione con i suoi obblighi presi in base alle Risoluzioni 1556 del 30 luglio 2004 e 1664 del 18 settembre 2004;

(b) imponga un blocco dei beni delle imprese d’affari del partito al governo e divieti di viaggio agli ufficiali del regime responsabili di crimini atroci;

(c) estenda l’embargo alle armi imposto in base alla risoluzione 1556 per includere il governo del Sudan e crei un meccanismo per controllare l’embargo e punirne le violazioni;

(d) autorizzi il tribunale criminale internazionale ad esercitare la propria giurisdizione contro i crimini atroci;

(e) solleciti le forze dell’AU a proteggere i civili e l’arrivo dei soccorsi;

(f) esorti ad una stretta cooperazione tra le missioni dell’AU e dell’ONU in Sudan ed incoraggi l’impiego dei mezzi dell’ONU per sostenere una rafforzata missione dell’AU;

(g) riconosca che una forza che conta meno di 10.000 truppe non è adeguata alle dimensioni dell’area del Darfur, alla violenza in atto ed all’atteggiamento fortemente non collaborativo del governo del Sudan;

(h) inviti gli stati-membri (africani e non) a sostenere con truppe ed altri mezzi una missione rafforzata dell’AU, ed esorti la NATO a pianificare un’eventuale assistenza alla missione;

(i) esorti l’Unione Europea, l’ONU e l’AU a lavorare insieme per aumentare le capacità della polizia civile in Darfur;

(j) autorizzi l’Ufficio dell’Alto Commissariato per i diritti umani (OHCHR) a schierare altri 100 osservatori per il controllo della tutela dei diritti umani; e

(k) approvi una zona di interdizione aerea sul Darfur monitorata dall’AU, chiedendo agli stati-membri di fornire tale aiuto tecnico e ogni altro eventuale mezzo richiesto da parte dell’AU a tale scopo, e identificando conseguenze penali precise che il Consiglio di Sicurezza possa applicare nel caso in cui l’AU riferisca che ci sia stata una grave inadempienza di una delle parti in conflitto.

2. Deve dare istruzioni al Segretario Generale affinché sviluppi urgentemente un completo piano per il ritorno delle popolazioni civili nelle proprie case nel corso del prossimo anno, che comprenda disposizioni di sicurezza e di risarcimento.

Al Governo del Sudan:

3. Deve prendere provvedimenti contro le milizie Janjaweed, quali:

(a) cessare tutte le forme di sostegno;

(b) arrestarne i leader identificati come colpevoli per aver perpetrato crimini atroci; e

(c) iniziare a disarmarli, compresi i membri inclusi nelle Popular Defence Forces (PDF) [Forze per la Difesa Popolare], la Border Intelligence Guard [Servizi per il Controllo del Confine], la Popular Police [ Polizia Popolare] e la Nomadic Police [Polizia Nomade].

4. Deve indicare immediatamente alla Commissione per il Cessate il Fuoco dell’AU (CFC) quali milizie siano sotto il suo diretto controllo o sotto la sua influenza, come richiesto dagli accordi di Abuja riguardo al cessate il fuoco.

5. Deve impegnarsi più seriamente nel tentativo di pace condotto dall’AU.

6. Deve cessare immediatamente tutte le attività militari offensive, come stabilito dagli accordi di N’djamena e dai successivi accordi di Abuja.

7. Deve porre fine ai tentativi di rientrare con la forza e trasferire i profughi in Darfur.

Al Movimento/Esercito per la Liberazione del Sudan (SLA) ed al Movimento per la Giustizia e l’Uguaglianza (JEM):
8. Devono cessare immediatamente tutte le attività militari offensive, come stabilito dagli accordi di N’djamena e dai successivi accordi di Abuja.

9. Devono giudicare responsabili coloro che hanno commesso reati di saccheggio e rapimento così come coloro che hanno assalito lavoratori umanitari od ostacolato l’accesso agli aiuti umanitari.

10. Devono tenere conferenze che coinvolgano la loro base il più presto possibile al fine di risolvere i disaccordi all’interno dei movimenti e tra i leader, ripristinare le strutture di comando e di controllo, iniziare a creare istituzioni e trovare un’idea politica comune per una risoluzione del conflitto.

11. Devono desistere dal bloccare le tradizionali vie del pascolo.

12. Devono immediatamente indicare aree di controllo alla Commissione per il Cessate il Fuoco dell’AU (CFC), come stabilito dagli accordi di Abuja sul cessate il fuoco.

Al Movimento per la Liberazione del Popolo del Sudan (SPLM):

13. Deve incoraggiare una soluzione negoziata per il conflitto nel modo seguente:

(a) lavorando con il governo per cambiare la sua strategia in Darfur; e

(b) convincendo i ribelli che esistono potenziali benefici e modelli applicabili al Darfur nell’ Accordo di Pace Completo (CPA) firmato con il governo il 9 gennaio 2005.

Al Consiglio per la Pace e la Sicurezza (PSC) dell’ Unione Africana (AU):

14. Deve ampliare in modo significativo la portata della Missione dell’AU in Sudan (AMIS), estendere il suo mandato per conferire un’attenzione particolare al problema centrale della protezione dei civili, e lavorare con il Consiglio di Sicurezza dell’ONU per facilitare l’inclusione e l’assistenza di forze non africane atte ad integrare i livelli e le capacità della forza della missione.

15. Deve elaborare in unione con il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ed il Segretario Generale una strategia per la neutralizzazione delle milizie Janjaweed in assenza di cooperazione con il governo del Sudan.

16. Deve rendere la Task Force Integrata del Darfur (DITF) pienamente operativa presso il quartier generale di Addis Ababa.

17. Deve fare immediati passi per giudicare le parti responsabili degli impegni presi in base agli accordi sul cessate il fuoco di N’djamena e di Abuja, anche aumentando la cooperazione con i paesi donatori e l’ONU e rendendo note al pubblico le violazioni.

18. Deve tracciare sulla mappa le tradizionali vie di pascolo del Darfur allo scopo di aprirle al pascolo ed evitare futuri focolai di conflitto.

19. Deve nominare un diplomatico esperto che abbia familiarità con il Sudan e la regione e che svolga il compito di mediatore principale ad Abuja, creando una partnership di alto livello con i più importanti stati e istituzioni esterne per far avanzare i negoziati, analogamente a quanto avvenuto per il processo IGAD che ha dato vita al Completo Accordo di Pace tra il governo e l’ SPLM.

Ai paesi ed alle istituzioni donatrici:

20. Devono appoggiare le conferenze generali in Darfur presso le quali l’ SLA e lo JEM possono cercare di risolvere le divisioni interne alla loro leadership e ripristinare il comando militare ed il controllo al fine di contrastare la frammentazione in atto e così essere in grado di negoziare responsabilmente la stabilità politica.

21. Devono offrire sostegno all’adempimento del CPA, negando aiuti di cui beneficerebbe principalmente il partito al governo, il National Congress Party (NCP), fintantoché la situazione in Darfur rimane infuocata e al tempo stesso assicurarsi che il Governo del Sudan del Sud (GoSS) riceva ciò di cui ha bisogno per diventare lo strumento fondamentale in grado di prevenire futuri conflitti nell’area meridionale.

22. Devono nominare inviati speciali di alto livello per appoggiare il processo di negoziazione in Darfur, come è stato fatto con il processo IGAD.

23. Devono lavorare attraverso organizzazioni di pace non governative per creare un forum che consenta ai tradizionali leader del Darfur di discutere le divisioni e le tensioni che sono state esacerbate dal conflitto.

Note: Tradotto da Cristina Pezzolesi per www.peacelink.it
Il testo e' liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la fonte, l'autore e il traduttore / la traduttrice

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