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Mea culpa inglese “La balena Willy l'abbiamo uccisa noi”

Il 19 gennaio il cetaceo entrò attraverso la foce del Tamigi e giunse a pochi chilometri dal centro di Londra.
19 dicembre 2006
Oscar Grazioli

willy Anche Moby Dick muore (forse) arpionata, trascinando nel gorgo chi le aveva dato la caccia per tutti gli oceani, il capitano Achac. Duello epico, nel capolavoro di Melville dove la balena bianca ha una sua dignità, nella vita e nella morte.
Esattamente l’opposto di quanto accaduto alla balena Willy. La ricordate? Il 19 gennaio il cetaceo entra attraverso la foce del Tamigi e giunge a pochi chilometri dal centro di Londra. Nel suo viaggio, contro corrente e natura, supera monumenti e luoghi storici come il Big Ben e la cattedrale di St. Paul e i primi londinesi si accorgono di lei. Si attiva perfino Scotland Yard oltre a un numero impressionante di soccorritori e curiosi. I media di tutto il mondo puntano le telecamere sul fiume che bagna la capitale inglese. Arrivata all’Albert Bridge, Willy inverte la rotta e il buio interrompe i soccorsi. Riprendono il giorno dopo e la balena, stremata dalla fatica, viene posta su galleggianti gonfiabili e issata su una chiatta con una gru. Nonostante le cure muore, in preda a convulsioni, prima di raggiungere l’estuario. Lo stesso sindaco di Londra, Ken Livingstone, dichiara alla stampa di essere molto dispiaciuto per Willy. Gli ambientalisti colgono l’occasione per portare alla ribalta il problema delle balene massacrate dai norvegesi e dai giapponesi, a mero scopo cosmetico e gastronomico, in barba a tutte le moratorie mondiali.

Oggi sappiamo perché questo Iperodonte dal rostro (a questa specie apparteneva Willy) lungo sei metri, pesante diverse tonnellate e abituato alle profondità marine, è morto. Willy è morta di fame e a causa delle sostanze tossiche ingerite durante il suo viaggio in quel fiume che i londinesi speravano di aver risanato, mentre, ancora oggi, risulta fortemente inquinato. La sua risalita del Tamigi, dopo aver perso il branco, fu causata dal disturbo dei sonar usati dall’industria petrolifera per le prospezioni marine, nei mari del nord. Questa almeno l’ipotesi formulata in un documento trasmesso da Channel 4. L’autopsia e i laboriosi esami, resi noti ieri, non lasciano alcun dubbio. Willy aveva mangiato il suo ultimo pasto di calamari due settimane prima del decesso. Mentre risaliva il fiume, spinta dai morsi della fame, ingurgitò di tutto, comprese alghe tossiche contaminate e sacchetti di plastica ritrovati all’interno dei suoi numerosi stomaci. In uno di questi sono state trovate addirittura delle patate. Il documentario dell’emittente inglese è impietoso e sostiene che, a dare il colpo di grazia a Willy, furono gli stessi soccorritori che, nel sollevarla, provocarono un tale stress da causarne la morte.

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Talvolta occorre scontrarsi più che incontrarsi, perché una patetica stretta di mano inneggiando all'amore universale e avendo cura di non toccare tasti delicati e argomenti scottanti non rimedia nulla e non è nemmeno onesta.

don Lorenzo Milani

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