Un cane malato in una grande città
Link: http://2006.novayagazeta.ru/nomer/2006/77n/n77n-s45.shtml
9.10.06
La scorsa estate è morto il nostro vecchissimo cane. Il fido Martin aveva quindici anni, aveva vissuto molto a lungo per essere un dobermann. Martin era un gran cane. Ci aveva protetti nei lunghi anni del caos della perestrojka, durante il periodo di criminalità che accompagnò il primo sfrenato capitalismo e nell'attuale disintegrazione delle libertà, quando la situazione divenne nuovamente insicura. Con lui ci sentivamo come sotto la protezione di uno stuolo di guardie del corpo: adorava i suoi e allontanava immediatamente i malintenzionati mettendoli in fuga senza esitazione, ma mordere no, mai un solo morso. Agli occhi di Martin litigavamo, non facevamo sempre serenamente la pace, ci allontanavamo, ci separavamo... Eppure ci amava disperatamente, fino allo sfinimento. Martin ha mancato di proteggerci solo negli ultimi quarantacinque minuti della sua vita, quando si è steso e ha perso conoscenza. Allora siamo stati noi a proteggerlo, a tenergli la mano sul cuore finché ha cessato di battere.
Sono cominciati allora sei mesi di torture: la vita senza un cane si è dimostrata una vita senza una capsula d'amore cucita permanentemente sotto la pelle.
Poi i ragazzi trovarono su Internet quello che faceva per noi. Da un lato, per noi era fondamentale che non assomigliasse a Martin; inoltre non aveva il pelo lungo, e noi eravamo abituati così; come terza cosa, secondo le informazioni che venivano fornite aveva un carattere amichevole. Un cucciolo di bloodhound, una specie di bassotto con le zampe lunghe, lo sguardo eternamente triste e grandi orecchie.
Decidemmo di andare dall'allevatrice, che non si stancava di ripeterci: "Un cane fantastico, il migliore della cucciolata". "Il migliore" faceva la pipì in continuazione, anche mentre ci guardava. Ma in un mare di dolcezza civettava con lo sguardo dicendoci "prendetemi, per favore". Questo fu decisivo: ce l'aveva chiesto con tanta forza.
"Ha quattro mesi, ha ancora il diritto di fare la pipì ovunque", continuava a dire l'allevatrice parlando senza sosta.
A casa lo abbiamo chiamato Van Gogh invece dello stupido nome Chagard che gli aveva dato l'allevatrice.
E abbiamo cominciato una nuova vita. Si è capito subito che Van Gogh non si limitava a "far sempre la pipì". Era una vera e propria macchina da pipì. E la cosa strana è che questo succedeva solo se vedeva un uomo: subito appariva la pozza di urina. Allora abbiamo smesso di far entrare in casa gli uomini (a parte quelli della famiglia), supponendo che questa cosa gli sarebbe passata.
Ma se si alzava la voce di mezzo tono - no, no, non gridando, per l'amor del cielo, ma parlando a voce un po' più alta - ecco il fiume di pipì. Solo che appena si accorgeva di quello che aveva fatto veniva colto dal panico, scappava, si nascondeva, e - cosa peggiore - cercava di leccare la pipì per evitare che ce ne accorgessimo.
E le passeggiate? Si capì subito che Van Gogh odiava le strade: lì tutto gli era ostile e sgradito. Il momento più felice della passeggiata era il rientro a casa, l'ascensore, l'appartamento. La coda si impennava gioiosamente solo quando rincasavamo.
La nostra casa divenne la sua fortezza, che avrebbe preferito non lasciare mai.
Alla clinica veterinaria ci informarono innanzitutto che non aveva quattro ma cinque mesi e ci dissero di chiederci perché l'allevatrice ci avesse taciuto la sua vera età.
- Perché?
- Perché ve lo portaste via. La gente non vuole cani adulti. Ai cani adulti è già stato insegnato qualcosa, e non c'è nessuna garanzia che sia qualcosa di positivo.
Questo si dimostrò vero. I veterinari trovarono inoltre della sabbia nella vescica di Van Gogh. Le analisi ci costarono più di 12 mila rubli. E poi altri duemila di antibiotici, perché c'era un processo infiammatorio in atto. Il dottore disse che a un'età così giovane (la sabbia e i calcoli urinari sono un problema tipico delle persone e degli animali anziani) questo poteva solo essere il risultato del cibo scadente usato da molti allevatori e commercianti di animali per risparmiare. Proprio quando è necessario nutrire bene i cuccioli in crescita danno loro da mangiare come capita, alterandone il metabolismo. La cosa più importante per loro è vendere il cucciolo confondendo le idee ai futuri padroni, e poi addio. Evocano l'amore, disse il dottore, ma in realtà sono nemici della specie, rovinano i cani per sempre.
Per sempre. Questo era solo un primo indizio. Divenne chiaro nel frattempo che Van Gogh si era attaccato a noi morbosamente. Aveva sempre più paura di chiunque entrasse in casa. Il terrore che degli estranei gli si avvicinassero divenne sempre più grande, e la tendenza a nascondersi dietro di noi addirittura maniacale. Immaginate la scena: qualcuno si avvicina, ci passa accanto per la strada e lui si nasconde dietro di me. Quel grande cagnolone dalle zampe robuste. Non abbaia, non ulula, guarda semplicemente il passante con un orrore tale che lo trasmette anche a te. Capimmo che aveva paura che lo portassero via. Lo avevano preso degli uomini, ed erano diventati suoi nemici. Per sempre. Ancora una volta, per sempre.
Quindi la situazione divenne sempre più chiara: ci era capitato un cane con gravi problemi mentali. Cosa può esserci di peggio? Lui non difende noi, dobbiamo essere noi a difendere lui?
Telefonai all'allevatrice: che cosa era successo in passato a quel cane? Non intendevo fare un reclamo. Volevo sapere per aiutare il cane e me stessa. L'allevatrice si arrese: prima di arrivare da noi il cane era stato rifiutato due volte, portato via e sbrigativamente restituito. Ma non si trattava solo di questo. L'avevano picchiato, ed erano stati degli uomini. L'avevano terrorizzato, e poi cacciato via.
Era chiaro: bisognava cercare degli psicologi per gli animali e degli addestratori che lavorassero non con gruppi di cani ma con cani singoli. Risultò che una visita dallo psicologo costava 50 dollari, come minimo. Per 50 dollari era possibile ricevere dei consigli per le seguenti situazioni: in vacanza, all'aperto, a riposo, in caso di trasloco, di cambiamento di città e di paese. Ma in una seduta non si occupavano di tutti i problemi: ogni consulto costava 50 dollari.
Uff. La missione era materialmente impossibile, assolutamente.
Allora ci rivolgemmo agli addestratori. Katja, che lavorava alla tariffa di 500 rubli all'ora per le ditte "Cane intelligente" e "Buon Amico", disse che lavorava solo con "cani d'élite" (intesi non come cani di razza, ma come cani dei ricchi), e che era occupata tutto il giorno.
Nonostante ciò, riuscì a trovare il tempo. Erano le sette del mattino, Katja arrivò ancora assonnata. Mise le mani in tasca e cominciò a darmi ordini: va' lì, fai questo. Niente di elitario, le stesse cose che stanno scritte sui libri di base sull'addestramento.
15 minuti prima della fine della lezione Katja, nonostante la sua tenuta no-global (maglione nero, anfibi, bandana) in stile globalista pretese i suoi 500 rubli, e arricciando il labbro sprezzante disse che non c'era tempo per occuparsi del cane, mostrando metodi, abilità, eccetera. Non l'abbiamo più vista: come mai?
Il secondo e il terzo addestratore erano completamente identici alla prima, da punto di vista delle lezioni. Solo che la tariffa si rivelò più alta: 700 e 900 rubli per la stessa ora scarsa.
Non potevamo ancora buttar via soldi inutilmente, soprattutto perché la vescica di Van Gogh richiedeva altre migliaia di rubli. Così la vita continuò come prima. Van Gogh era terrorizzato da tutto, e io lo difendevo da tutto. Dagli uomini, dagli oggetti sconosciuti, dal rumore della saracinesca di un garage, dalle frenate delle auto e ancora dai passanti.
Man mano che cresceva si aggiungevano dei problemi. Nel nostro quartiere per raggiungere l'area riservata ai cani è necessario attraversare una strada molto trafficata e priva di semaforo. Bisogna cioè lanciarsi tra le macchine, che non hanno l'abitudine di rallentare sulle strisce pedonali. Quando ci avvicinavamo al passaggio pedonale Van Gogh era così terrorizzato che cadeva sulle quattro zampe e a me toccava ora portarlo in braccio, ora trascinarlo come una slitta (40-50 chili di carne e muscoli) tra le automobili. Una corsa del genere all'andata e al ritorno, e lo sbalzo di pressione era assicurato.
Ma un cane con questo metabolismo così sballato, la sabbia nella vescica e i suoi problemi di socializzazione deve per forza uscire e stare insieme ai propri simili! E così andò a finire che cominciai a caricare Van Gogh sulla mia macchina e a portarlo dall'altra parte della strada. Lì correva timidamente tra gli altri cani, non ci giocava molto spesso ma qualche volta sì. Però almeno andava in giro, fiutava, si abituava.
Tuttavia la sua principale occupazione era stare vicino alla recinzione e fissare malinconicamente la nostra macchina. E non appena aprivo la portiera Van Gogh saltava sul sedile posteriore tutto allegro. A quanto pare adora spostarsi in macchina o anche solo semplicemente starci seduto. Il piccolo spazio chiuso, dove è isolato dal resto del mondo insieme alla sua padrona, per Van Gogh è il territorio più confortevole del mondo. Lì si calma, guarda soddisfatto fuori dal finestrino, il suo sguardo si rasserena, accosta le orecchie al finestrino posteriore e così può perfino addormentarsi: si è lasciato tutte le paure alle spalle. Salta fuori dalla macchina e si infila subito nel portone, correndo verso l'ascensore, veloce. Ancora più velocemente entra nell'appartamento e... Lì è tutto a posto: la mia casa, la mia fortezza.
Così la mia pressione si normalizzò. Ma cosa fare in futuro? I veterinari si erano già espressi senza mezze parole: farlo addormentare per sempre. Gli amici dicevano la stessa cosa: perché torturarlo? Un cane non è un uomo. Dallo a qualcun altro... Ma questa non è che un espressione civile per intendere la stessa cosa: "farlo addormentare". Chi si metterà a giocare e a far chiasso con lui, a parte le persone che si sono già legate con tutta l'anima a questa creatura dalle grandi orecchie e dagli occhi tristi che non è colpevole di nulla?
Nessuno. I tanti cani malati di questa grande città devono essere "fatti addormentare", se i loro padroni non hanno i mezzi per curarli e per mantenerli. Il mondo, che è già tanto crudele con le persone sfortunate (gli invalidi, gli orfani, i malati) è diventato molto cattivo anche con gli animali. È naturale, non potrebbe essere altrimenti. Fino a che punto ci renda peggiori il profumo delle grandi quantità di denaro lo si capisce molto bene quando si porta in giro un cane malato. Non appartengo al gruppo di persone che amano i cani alla follia, e che sono tanto numerose quanto coloro che li detestano. Quelli che amano i cani alla follia si distinguono dalle altre persone per una particolarità: amano i cani più degli uomini. Io invece no, amo le persone più dei cani.
Ma non mi hanno insegnato a buttar via le cose. Soprattutto se si tratta di un essere vivente, che non sarebbe in grado di sopravvivere a un altro rifiuto, e che se non fosse per me morirebbe. Dipende completamente da me, fino all'ultimo pelo delle sue lunghe setose orecchie. Come da chiunque lo avesse spinto il volere del fato. Il mondo dei ricchi ha prodotto un numero molto grande e in costante crescita di animali abbandonati, i fratelli di Van Gogh. Comprano i Van Gogh come se fossero giocattoli: ci si gioca, non piace, lo si prende a calci e tante grazie se non lo abbandonano per la strada ma lo restituiscono a chi l'ha venduto. Non c'è rispetto per il valore del denaro, né per quello dell'anima di un essere vivente che ti si rivela in tutta la sua profondità.
Capisco che bisogna essere giusti: non tutti i ricchi sono così male, e non tutti i veterinari sono tanto cinici. Naturalmente. Ma allora perché vediamo tutti questi cani di razza abbandonati per le strade?
... È di nuovo sera. Giro la chiave nella porta e Van Gogh mi corre incontro, sempre e ovunque si trovi. Anche se ha avuto il mal di stomaco, anche se dormiva della grossa, e non importa cos'ha mangiato o non ha mangiato... È una fonte di amoroso moto perpetuo. Possono abbandonarti tutti, o tenerti il muso: il tuo cane non smetterà di amarti.
Lo prendo, lo conduco fino alla macchina, lo porto sull'altro lato della strada, salto giù al suo fianco perché possa andare a correre con gli altri cani. Gli mostro che deve giocare con loro, e mi arrampico con lui sugli ostacoli per aiutarlo a superare la paura, lo accompagno vicino agli estranei, prendo loro la mano e faccio loro toccare le orecchie di Van Gogh, giurandogli che non sono poi così terribili...
Sociale.network