Diritti Animali

Seppellire vivi milioni di pennuti per paura dell’aviaria è una cosa orribile che ci fa disonore

Il dolore degli animali e la misteriosa indifferenza degli esseri umani

17 dicembre 2005
Dacia Maraini

Cos’è che ci rende così insensibili al dolore animale? Eppure ormai
sappiamo, perché ce l’hanno detto tanti scienziati, che gli uomini hanno
quasi tutto in comune con gli animali, cominciando dalla capacità di
soffrire, di amare, di capire. Gli animali hanno memoria, gli animali
conoscono l’affezione, la tenerezza, la protezione verso i più deboli, la
solidarietà di specie, ma anche l’odio, il sentimento di vendetta, la
frustrazione, la paura, l’aggressività, l’invidia, il coraggio e così via.
Di tutto questo è composta un’anima nel senso antico della parola.

Eppure continuiamo a comportarci come se fossero fatti di materia insensibile, come se la loro sopravvivenza fosse proporzionale solo alla nostra utilità. Carne da macello, carne da tavola, carne da sperimentazione, carne da scambio. Carne e solo carne. Siamo capaci di tenerezze verso il gattino di casa che riempiamo di coccole, probabilmente viziandolo e rendendolo nevrotico. Ma quando si tratta di animali non domestici, di animali nel mondo, non riusciamo a vederli come esseri viventi, che come noi, hanno diritto a nascere e crescere su questo pianeta.
Animali da esperimento: ecco una delle violenze più nascoste e taciute. L’idea di fondo è che il sacrificio di topi, babbuini, cani, conigli, criceti, sia necessario al progresso della medicina. Nessuno si ferma a riflettere sulle sofferenze, insistite, vere e proprie torture che noi procuriamo ai piccoli animali da sperimentazione.

Spesso assolutamente inutili, se non proprio dannosi, come dimostrano i casi del Lipobay e del Vioxx ritirati precipitosamente dal mercato. L’uso
disinvolto della sperimentazione animale, come spiega Pietro Croce in un libro tutto dedicato alla vivisezione e come ribadiscono gli amici di
Equivita, porta malattie e morte. Gli animali sono simili agli uomini ma
sono anche diversi di fronte alle malattie, di fronte ai farmaci. Troppe
volte si sono presi per buoni i risultati di esperimenti fatti sui ratti,
falliti poi miseramente sull’uomo. Per esempio i 30.000 giapponesi accecati dal clioquinol nel 1978. O i bambini nati focomelici per l’uso del
talinomide, testato sui criceti e considerato sicuro, tanto da consigliarlo
alle gestanti negli anni 60.

«Pochi leggono il Bollettino di informazione sui farmaci del Ministero della
Sanità», scrive Croce. «Il numero dell’8 agosto 1983 ci informa che dal 1972 al giugno 1983 è stata revocata la registrazione (cioè vietata la vendita) di 22.621 confezioni di specialità medicinali, che, per lo stesso fatto di essere messe in vendita, avevano superato l’esame imposto dalla legge, della sperimentazione sull’animale. Un altro comunicato informa che le cose stanno cambiando, in peggio: dal 1984 al dicembre del 1987 gli effetti collaterali (solo quelli segnalati) procurati dai farmaci, sono stati 14.836, con 112 morti. Quanti anni ci vogliono per accorgersi che un farmaco è dannoso e quanti morti»? Gli antivivisezionisti insistono che non si tratta di pietà verso la sofferenza animale, probabilmente per non essere accusati di facile sentimentalismo. Per me invece, e non mi vergogno a dirlo, la pietà è un elemento determinante: non credo che si possa ottenere niente di buono dalla tortura e dalla morte procurata, anche se si tratta di animali. La vista, in questi giorni, di milioni di poveri pennuti chiusi nei sacchi della spazzatura starnazzanti e sepolti vivi sotto terra, mi sembra una cosa orribile, che fa disonore all’uomo.

«Ma quali le alternative?» chiedono a gran voce coloro che hanno una fiducia nella sperimentazione animale. Le alternative ci sono e stanno in una ricerca alternativa «genetica, fatta in colture in vitro, con metodi
statistico-epidemiologici, simulazioni al computer». Stiamo tutti pagando
questa lunga crudeltà verso gli animali che si vendicano, senza neanche
saperlo, portando nuove e terribili malattie.

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